È davvero meritoria l’iniziativa del Riformista di tenere sotto osservazione i presidi di imprese e università ad alto contenuto tecnologico e di innovazione. In questo ambito un posto in prima fila spetta al polo universitario di San Giovanni a Teduccio, centro di formazione digitale che si avvale oggi delle academies di Apple, Digita, Cisco, Fs, Capgemini e Leonardo: un caso di riuscita riqualificazione di un quartiere di antica vocazione industriale. Il polo è inserito dall’Ocse nel programma Heinnovate che annovera le università e i centri di ricerca in grado di affrontare le sfide future dell’innovazione. Ed è attualmente tra i finalisti per il Premio Regiostars 2020 della Commissione europea come “buona pratica” nell’utilizzo del Fondo europeo di sviluppo regionale.

Un caso a cui abbiamo dedicato una ricerca intitolata L’impatto sociale dell’innovazione digitale, parte della più ampia linea di ricerca Prosit del Dipartimento di Strutture per l’Architettura e l’Ingegneria dell’Università Federico II. La ricerca era indirizzata alle imprese digitali iscritte nel registro delle start-up e delle pmi innovative della Camera di Commercio di Napoli. Ma la platea è divenuta più ampia, includendo anche campioni ragionati di imprese manifatturiere innovative ad alta redditività e imprese manifatturiere insediate nell’area di Napoli est. Vi hanno partecipato imprenditori, manager, esperti di innovazione e decisori pubblici con responsabilità di disegno di politiche di ricerca e sviluppo e promozione delle attività produttive del territorio. Lo scopo? Comprendere in che modo si genera innovazione, indagare che tipo di innovazione si persegue nelle imprese e ricostruire in che modo il polo universitario promuove processi di innovazione attraverso la diffusione della cultura digitale e della ricerca scientifica e tecnologica.

Con il professor Edoardo Cosenza, delegato del rettore per lo sviluppo del polo, abbiamo deciso di approfondire i processi di contaminazione tra formazione digitale, sperimentazione, ricerca scientifico-tecnologica e produzione industriale al fine di rintracciare le connessioni esistenti tra il polo e le attività produttive nel contesto glocal. Abbiamo deciso di concentrarci sui settori della meccanica di precisione e dell’agro-alimentare, in cui si specializza la produzione manifatturiera campana con un significativo trend di internazionalizzazione. Creare e fare impresa scaturiscono da endogeni processi di socializzazione, sperimentazione e apprendimento esperienziale, non solo da interventi diretti da agenzie terze né gerarchicamente sovraordinate. In altri termini, creare un ecosistema non è l’esito di misure etero-gestite da centri di potere o da burocrazie esterne che spesso fanno fatica a mobilitare le sorprendenti risorse nascoste o poco utilizzate dei contesti in ritardo di sviluppo.

Ed è per questo che il polo viene riconosciuto dagli imprenditori intervistati come esempio positivo della sfida di radicamento che tende a proiettare l’impresa familiare nel mondo globalizzato, trasferendo da una generazione all’altra i requisiti sviluppati: la capacità di selezionare fornitori in grado di rispondere puntualmente alle esigenze di produzione dell’azienda, la scommessa di investire in innovazioni organizzative nonostante la mentalità spesso poco incline al cambiamento da parte della forza lavoro, la determinazione di forgiare soluzioni personalizzate nonostante l’incertezza dei mercati. Nell’area Est sta sorgendo anche una nuova residenzialità legata alla classe degli innovatori e dei creativi. Le prospettive sono promettenti. Il fattore chiave è il capitale umano, cioè i tanti giovani che con determinazione si impegnano ad acquisire competenze e a realizzare legittime aspirazioni di realizzazione professionale nel proprio luogo natio. Gli investimenti esteri o comunque esterni alla regione che il centro ha saputo attrarre potrebbero richiamare ulteriori insediamenti produttivi.

È una potenzialità che bisogna curare non solo attraverso interventi di comunicazione, ma attraverso servizi pubblici adeguati e la capacità di interpretare i bisogni delle imprese del territorio, tese a consolidare la propria posizione di mercato, aumentando produttività e occupazione. Occorre creare un ambiente in cui conoscenza scientifica e competenza tecnica si fondano, negli ambienti di lavoro, con il sapere pratico-contestuale utile tanto a risolvere i problemi quotidiani quanto a disegnare politiche e strategie di sviluppo di lungo periodo.

*professore associato di Politica Economica presso l’università Federico II di Napoli

Mita Marra*

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