La vicenda torinese è ormai arcinota. Un marito violento sferra un pugno alla moglie che ha voluto separarsi, fratturandole lo zigomo. Mandato a giudizio per lesioni aggravate e maltrattamenti in famiglia, all’esito di una istruttoria molto accurata (leggete la nostra Quarta Pagina) viene condannato per il primo reato ma assolto per il secondo. La condotta violenta, dicono in sostanza i giudici, risulta essersi limitata a quel pur grave episodio, mentre la denunzia di altri ripetuti atteggiamenti e fatti di maltrattamenti non ha trovato riscontro. La notizia della assoluzione travolge e cancella quella della condanna (ad una pena ridotta perché, per quello specifico reato, si è proceduto con rito abbreviato a causa di una aggravante contestata solo al dibattimento). Si scatena una reazione furibonda sui media e sui social, che giunge all’acme di una proposta (mi auguro rimasta tale) a firma della presidente della Commissione Parlamentare sul femminicidio, on. Semenzato, addirittura di convocare il giudice estensore della sentenza incriminata, perché ne renda conto ai rappresentanti del popolo (!!!).

E Anm tace

Di fronte ad una iniziativa così sconsiderata, sconclusionata e – per dirla tutta – vergognosa, ti aspetti una settimana di sciopero proclamato in via di urgenza dall’Associazione Nazionale Magistrati, con le toghe armate di Costituzione d’ordinanza da sventolare nelle plurime assemblee distrettuali all’uopo convocate. ANM invece tace, lasciando spazio ad una tenue ed imbarazzata nota della sezione torinese, la quale accenna fuggevolmente al rispetto della indipendenza dei giudici, per poi prendere nettamente le distanze da alcune espressioni usate dalla sentenza, considerate superflue ed inappropriate, ma soprattutto si premura di rassicurare che ci sarà l’appello, perché, insomma, a tutto c’è rimedio (il Presidente di ANM Parodi, per la cronaca, era fino a qualche settimana fa Procuratore Aggiunto a Torino, e soprattutto coordinatore Dipartimento violenza di genere e domestica). Sulla inedita convocazione davanti al Tribunale del Popolo, ne verbum quidem.

Le conclusioni amare

Possiamo certamente trarre alcune (amarissime) conclusioni da questa vicenda: 1) In Italia fanno scandalo solo le sentenze di assoluzione, mai quelle di condanna; 2) Ignorare ciò di cui si parla, si protesta e ci si indigna, segnatamente da parte della politica (dei social manco a dirlo), è diventata la più scontata delle regole. Direi di più, un vezzo. Non ho idea di cosa sia il reato di maltrattamenti in famiglia? Quale migliore occasione per sbraitarne. Qualcuno prova a spiegartelo? Cavilli legulei, non rompeteci le balle, la gente vuole giustizia senza tutte queste elucubrazioni avvocatesche; 3) Quanto specificamente alle sentenze, ciò che fa notizia è il linguaggio usato, non i principi di diritto affermati (giusti o sbagliati che siano).

Quella sentenza scrive del marito che ha fracassato lo zigomo della moglie “come dargli torto”, e non ci sarà un solo giornale che non ci farà il titolo. Che importa se l’espressione (che comunque sarebbe stato senz’altro meglio evitare) era riferita al fatto che il marito si dolesse di aver appreso per WhatsApp l’intenzione della moglie di separarsi; fa più effetto che il lettore pensi fosse riferita al pugno. 4) Il linguaggio merita censura solo se utilizzato in sentenze assolutorie. Mai letto un commento, una riflessione, una iniziativa parlamentare, o un documento di una sezione territoriale di ANM, censurare una sentenza di condanna che abbia espresso ultronei giudizi moralistici sull’imputato (“uomo senza scrupoli e freni morali”, “posseduto da una insana cupidigia di denaro”, o – per fare l’esempio storico di Enzo Tortora – “cinico mercante di morte”). 5) Infine, non è previsto in natura che una denunzia di maltrattamenti in famiglia o di stalking possa essere, anche solo parzialmente, non veritiera o magari strumentale alla connessa causa di separazione. Appunto: non osi il giudice assolvere.

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