«Iniziare a considerare il Comune come un’azienda privata di servizi è fondamentale per uscire dalle sabbie mobili nelle quali si trova la macchina comunale. Servono risorse è vero, ma anche profili in grado di spenderle. E poi va bene chiedere fondi, ma iniziamo a fare quello che possiamo con quello che abbiamo, senza aspettare sempre regali. Iniziamo dai marciapiedi, dalle strade o dalle facciate dei palazzi». Ne è convinto il manager napoletano Ernesto Albanese.
Il Comune di Napoli tra conti in rosso e un’organizzazione disastrosa è una macchina paralizzata. Come si esce da questo impasse?
«Iniziando a trattare il Comune di Napoli come un’azienda privata di servizi. L’azienda privata ha una caratteristica importante: sceglie gli uomini e se non vanno bene li cambia. Meccanismo che nella pubblica amministrazione spesso non può avvenire, perché la politica per sua natura è compromesso e quindi inevitabilmente bisogna fare i conti con la realtà politica e non con quella economica. E quindi mi auguro che la squadra scelta dal nuovo sindaco sia quella giusta per raggiungere gli ambiziosi traguardi che ha davanti a sé».
Da manager come procederebbe?
«Credo che la prima cosa da fare sia quella di mettere tutti quanti di fronte ai numeri e alla realtà delle cose perché spesso nella pubblica amministrazione nessuno ha esattamente contezza del valore delle cose che si fanno, del loro costo e della necessità che il sistema sia in equilibrio. Il primo passo da compiere è quindi una grande azione informativa su tutti i dipendenti comunali e su tutti i cittadini per far capire loro le cose che è necessario cambiare. È necessario comportarsi come una grande famiglia e bisogna lavorare come un buon padre di famiglia che a un certo punto fa capire ai figli che alcune cose si possono fare e altre no, accettando anche decisioni sgradevoli».
A proposito di cambiamenti, c’è un dato che da parecchi anni non cambia ed è quello che vede Napoli sempre infondo alla classifica di vivibilità delle città italiane. Cosa comporta questa lettura della città così negativa?
«Non mi sorprende. È un grosso fardello che Napoli si porta dietro da molti anni. La città ha enormi potenzialità, per certi versi direi che ha delle potenzialità uniche. Avrebbe tutti i presupposti per poter occupare posizioni decisamente migliori di quelle in cui si trova stabilmente. Credo ci siano tre fattori essenziali sui quali lavorare. Il primo è sicuramente lo sviluppo economico e quindi il lavoro, un lavoro trasparente e di qualità che può essere sicuramente alla portata della città. Il secondo è il contrasto all’illegalità e non mi riferisco solo alla criminalità organizzata, ma a tutto quello che si manifesta quotidianamente attraverso piccole forme di illegalità diffusa. E il terzo è il decoro urbano. Credo che questo aspetto sia fondamentale, perché se si riqualifica la città dal punto di vista del decoro, si influenzano positivamente anche i comportamenti dei cittadini. Bisognerebbe guardare cosa è successo negli ultimi anni a Milano. Nel capoluogo lombardo è stato avviato un grande processo di rilancio e riqualificazione della città e il risultato è che oggi i milanesi sono innamorati della loro città, la proteggono e si comportano di conseguenza».
Per fare tutto questo c’è bisogno di risorse economiche, punto sul quale il sindaco Manfredi torna quotidianamente chiedendo a gran voce a Roma un intervento per la città. Qualora questo intervento straordinario non dovesse arrivare e pensando il Comune come un’azienda che deve risollevarsi, come si dovrebbe intervenire?
«Prima ancora di risorse economiche, c’è bisogno di leader credibili e di esempi virtuosi. Sono fiducioso che le risorse arriveranno, ma poi bisognerà avere anche la capacità di spenderle. Negli ultimi anni i fondi europei sono stati spesso rimandati indietro per incapacità di investirli. Sarebbe giusto smetterla di aspettare regali, la città ha le capacità per poter generare importanti risorse in maniera autonoma. Basti pensare a quanti progetti sono fermi da tanti anni e che, se portati a termine, darebbero un impulso importante all’economia. Bisognerebbe smetterla di puntare solo ai grandi progetti come la riqualificazione di Bagnoli o di Napoli Est. I grandi cambiamenti partono dalle piccole cose, dai marciapiedi, dalle strade, dalle facciate dei palazzi. Iniziare da questo sarebbe un primo passo e rappresenterebbe anche un messaggio di incoraggiamento e di ottimismo. Che il sindaco abbia ereditato una paralisi economica e finanziaria è un dato di fatto. Sono sicuro che lui abbia le capacità per rimuovere questo ostacolo, ma si tratta un’impresa titanica. Non ci sarà una sola soluzione ma saranno un insieme di azioni che potranno rimettere “l’elefante in movimento” e quindi ci sarà sicuramente bisogno di tante scelte coraggiose. Le grandi rivoluzioni partono quasi sempre da grandi situazioni di crisi, ma si costruiscono con piccoli passi. Ora, che il sindaco chieda delle risorse aggiuntive è comprensibile, pensare che ottenerle voglia dire risolvere tutto, probabilmente no. Bisognerà certamente modificare i comportamenti sbagliati sia dei cittadini che di chi lavora nelle istituzioni».
Oltre al lavoro manageriale, lei si occupa di associazionismo con la sua associazione l’altra Napoli. In città il terzo settore occupa una fetta importantissima, in che modo il Comune dovrebbe supportare le associazioni?
«Ci sono molte associazioni che aiutano i disabili, i bambini, in generale i più fragili e coprono dei vuoti lasciati dalla pubblica amministrazione. La mia esperienza mi porta a dire che negli ultimi anni il Comune di Napoli ha fatto molto poco per il terzo settore ed è necessario che le cose cambino. Negli ultimi quindici anni abbiamo realizzato tanti progetti solo grazie a risorse private. Ciò è stato possibile grazie alle caratteristiche quasi uniche dell’associazione L’altra Napoli, gestita prevalentemente da manager e professionisti che hanno messo a disposizione le loro competenze e le proprie relazioni per raccogliere fondi. Ritengo che l’azione della nuova amministrazione comunale verso il terzo settore potrebbe iniziare proprio da una grande opera di formazione manageriale del suo personale per aiutarlo a presentare progetti credibili verso finanziatori privati e per raccogliere risorse che comunque la pubblica amministrazione non potrà mai garantire interamente».
