Roberto Morassut, non tira buon vento dalle parti del Pd. ”Saggi” che si chiamano fuori dal Comitato costituente. Il malessere degli ex Ppi. Sondaggi che danno il Pd in caduta libera, tra Qatargate e minacce di scissione.
Dopo la sconfitta elettorale il Partito avrebbe dovuto intraprendere la strada di un vero confronto politico interno, ovvero di un Congresso. Poiché però il nostro attuale Statuto non prevede un “Congresso” nel senso letterale del termine ma solo delle primarie per la elezione di un segretario, si è scelta una strada ibrida e con tempi compressi. Quella di una riunione di apparato, che impropriamente chiamiamo costituente, che dovrebbe avere il compito di riscrivere la Carta dei Valori e poi di elezioni primarie che si sovrappongono a questo lavoro, con i candidati che presentano delle proprie piattaforme. Quel comitato agisce senza una piena legittimazione democratica e taglia fuori la partecipazione popolare e degli iscritti riducendola ad una sterile appendice. Il lavoro dei candidati ignora o si confonde con quello del comitato. Da qui nasce una grande confusione interna ed esterna che crea malessere e disorientamento elettorale. Per questo mi sono astenuto su questo percorso in Assemblea Nazionale.
Dal gruppo dirigente si levano voci che chiedono di anticipare le primarie.
Sarebbe paradossale convocare adesso di nuovo l’Assemblea Nazionale, sotto Natale e in piene elezioni regionali per dire ai delegati: scusate ci siamo sbagliati, meglio anticipare le primarie. Ormai quello è il percorso dato e cerchiamo di farlo al meglio. Lo dico io che non l’ho condiviso. Ma credo si debba porre un altro problema. Opposto. La costituente deve proseguire con altri presupposti, ben altra armatura e ben altro respiro anche dopo l’elezione del nuovo segretario o della nuova segretaria, che dovrebbe rendersi conto di avere davanti, come primo compito, proprio quello di restituire una capacità di interlocuzione con la società, di selezione del profilo dei Democratici e di riforma radicale del soggetto politico e della sua morfologia che sono proprio i punti centrali di un percorso costituente. Ed avere coscienza che un percorso “costituente” vero non può lasciare le cose come stanno e partorire il topolino del “nuovo Pd”, come fosse l’adeguamento di una vettura da mettere sul mercato. Si deve puntare ad un soggetto politico radicalmente nuovo che tuttavia non si stacchi dalle radici dei Democratici ma le cali nel nuovo mondo e con forme partecipative più rispondenti alle domande e alla realtà contemporanea.
Giuseppe Conte sta portando avanti un’opa aggressiva, manifesta, sul Pd. Ma tra i dirigenti dem, anche tra i candidati alla segreteria, si evoca una nuova alleanza con il M5s
I Cinque Stelle hanno come obbiettivo principale quello di prendersi i voti del Pd e poi, solo dopo, di combattere (forse) questa destra. Una condotta craxiana. Conte non è un progressista ma un populista moderato. Può giocare efficacemente con la propaganda ma se noi prendiamo il nostro toro per le corna possiamo rimettere in equilibrio i conti. Sul piano delle alleanze, sic stantibus rebus, con chi può dialogare il Pd se non con i Cinque stelle? Si possono costruire alleanze negli enti locali, coordinare l’azione parlamentare d’opposizione. Ma bisogna essere in due a farlo. Il problema è sempre il solito: se il Pd decade sarà trascinato in alleanze di necessità in funzione subalterna, se torna a crescere diventa un attrattore. Va bene il dialogo e le alleanze ma devi rialzare la testa e non puoi farlo se non assumi fino in fondo la consapevolezza della radicalità delle scelte che ti stanno davanti. Serve una rottura. Anche per questo ho scelto di sostenere Elly Schlein e mi auguro che abbia la forza di rischiare e che non si faccia tentare da troppi calcoli. La sua forza non è dentro ma fuori di qui.
L’identità del “nuovo Pd”, può ridursi alla sommatoria aggiornate delle vecchie culture di origine?
Detta cosi viene voglia di scappare a Puerto Escondido. I democratici sono una comunità che ha iniziato a formarsi nei primi anni ’90, dopo la crisi dei vecchi partiti. Avevano in comune dei valori: quelli del patto costituzionale. Ma non solo. Il loro cammino ha visto svolgersi dei cicli con delle durate temporali quasi perfette di dieci o dodici anni, pari a mezza generazione. Prima l’Ulivo, poi degradatosi in Unione, tra il 1995 ed il 2007. Poi il Pd che ha avuto una grande espansione fino al progressivo decadimento iniziato tra il 2014 ed il 2016. In quel momento occorreva aprire un terzo ciclo o una terza fase. Affrontando con un nuovo impianto teorico e di ricerca il tema delle nuove diseguaglianze, dell’emergenza ambientale, dell’insorgere di nuove potenze planetarie in grado di mettere in discussione l’assetto costruito dopo la dissoluzione dell’Urss. Oggi noi dobbiamo avere il coraggio di affrontare la condizione che il dominio della tecnologia e il perenne moto delle forme politiche e sociali ci mette davanti. Gramsci, nel carcere, formulando il concetto di egemonia e di “guerra di movimento” formulò una idea completamente diversa della rivoluzione, basata su tempi lunghi, più complessi, connessi alla democrazia come strumento della rivoluzione sociale. Oggi siamo ad una ulteriore evoluzione di quello scenario. E’ nostro dovere attraversare la mobilità ed il flusso del mondo con idee forti. Valori costanti e forme mutanti. Gramsci non può essere messo in un altarino e richiamato in servizio per rassicurare la nostra paura. Ma reinterpretato nel mondo di oggi sempre più liquido. Piaccia o no.
