Il futuro dei dem
Intervista a Walter Verini: “Il Pd riparta dal Lingotto: ora c’è più passione e meno correnti”
Il Pd a congresso. Tra lo scandalo del Qatargate e sondaggi allarmanti. Il Riformista ne discute con Walter Verini, senatore dem e Tesoriere nazionale del Partito democratico.
L’insofferenza degli ex Ppi alla quale ha dato voce Castagnetti. Saggi, come Zanda, che lasciano il Comitato costituente. Il “nuovo Pd” nasce già vecchio? Gli ultimi sondaggi sono allarmanti.
L’insofferenza è di molti e, soprattutto, di 7 milioni di elettori che dal 2008 (quando erano 12.200.000) ci hanno abbandonato. Dobbiamo secondo me ripartire dai valori fondamentali del Pd delle origini e da quelli dell’Ulivo ‘96. C’è moltissimo da cambiare e da aggiornare. Analisi, proposte, programmi richiedono cambiamenti anche radicali di fronte a un mondo radicalmente cambiato. Ma i principi c’erano tutti e sono ancora validi. La bolla di Wall Street, l’impoverimento e la precarizzazione di centinaia di milioni di persone nel mondo; nuove povertà e solitudini aggiuntesi alle vecchie; insicurezze diffuse prima sconosciute a ceti medi impoveriti; e poi gli effetti negativi del “dark side of the Moon” della globalizzazione; le sfide dei cambiamenti climatici. E poi la pandemia che ha prodotto drammi umani e sanitari e sconvolto relazioni sociali e causato nuove solitudini specialmente tra gli adolescenti, oltre a conseguenze sociali pesanti. E poi la sporca guerra di Putin. La crisi energetica. È chiaro che occorrono ricette anche inedite e coraggiose. Di sinistra. Riformiste. Ma le fondamenta ideali sono valide. Stavano nella Carta dei valori.
C’è chi avverte il rischio che il dibattito congressuale sia di fatto cancellato dalla corsa alla segreteria. In una intervista a questo giornale Gianni Cuperlo lancia l’allarme: se imbocca questa strada il Pd va verso il suicidio politico.
Su questo Cuperlo ha ragione. Il pluralismo è vitale, per il Pd. Ma il correntismo cristallizzato (vietato dal codice etico, peraltro) è una delle ragioni del declino del Pd, perché ne impedisce l’apertura alla società. Abbiamo bisogno di politica come passione, di prendere esempio dal mondo del volontariato, di disinteresse personale, di considerare il potere come un mezzo, non come un fine. Un dibattito congressuale libero da qualsiasi condizionamento è perciò fondamentale.
Identità. Parola molto in voga a sinistra. Ma se non viene sostanziata, resta una parola vuota. Provi lei a declinarla.
Oltre alla Carta dei Valori, lo stesso luogo-Lingotto dove Veltroni tenne il suo discorso evocava una identità: lavoro, diritti, impresa, lotte sindacali, tecnologia e ricerca, formazione e saperi, nella Torino di Gramsci e Bobbio, di Gobetti, già Capitale d’Italia. E rigore e sobrietà, questione morale, diritti civili, legalità, partito aperto di iscritti ed elettori e non correntizzato cronicamente. Ambientalismo e femminismo. Unire le culture riformiste e costruire insieme un nuovo pensiero democratico, per contrastare le nuove diseguaglianze e affermare pari opportunità. Valori della sinistra, giustizia sociale, democrazia liberale. Se riprendiamo tutti questi principi il Pd potrebbe riprendere vita e vitalità.
In una intervista a Il Riformista, il professor Fabbrini ha affermato di ritenere lo scandalo Qatar un non problema. Ma nel Pd sembra prevalere l’anima giustizialista.
Per me è un enorme problema. Se le responsabilità penali sono individuali e su questo piano esiste presunzione di non colpevolezza, sul piano politico è inammissibile che accadano certe cose. Il Pd, tutta la politica, i valori della sinistra sono parti lese e lesionate, ferite profondamente da fatti vergognosi come quelli di cui leggiamo. E da un allentamento di anticorpi. I temi della legalità, delle regole, dell’impegno per i diritti e contro i favori, sono nel nostro Dna e debbono essere non solo enunciati, ma praticati. Perché è ancora attualissima la “questione morale” di Berlinguer? Perché lui non diceva solo ( ovviamente) “guai a chi ruba”, ma lanciava una sfida alla politica, agli avversari di allora che lottizzavano banche, Rai, etc. ma anche alla sua parte. Questione morale vuol dire che i partiti ( che allora almeno erano di massa!) non dovevano “occupare” le istituzioni, spazi impropri. Ciò, ieri come oggi, significa nomine negli enti di Stato, nelle partecipate regionali e locali, nella sanità, in tutti i luoghi pubblici da effettuare sulla base di criteri di competenza e capacità, non di fedeltà partitica o peggio ancora correntizia. È una sfida da rilanciare, innanzitutto a noi stessi e a tutti gli altri, in un momento in cui questa destra al governo indebolisce l’impegno per la trasparenza e la legalità.
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