Il Pd a congresso, Il Riformista ne discute con Anna Rossomando, Vice presidente del Senato.

Vede anche lei il rischio che il dibattito “costituente” finisca per risolversi nel posizionamento dei maggiorenti dem su questo o quel candidato?
Il semplice cambio del segretario non può bastare, abbiamo la necessità di definire la ragione sociale del Pd dei prossimi 10-15 anni, dire quali rapporti di potere vogliamo cambiare nella società di oggi e come, per essere il partito di riferimento della sinistra del terzo millennio. È necessario partire da una riflessione senza sconti sul tema delle disuguaglianze, del lavoro e sul livello dei salari senza omettere le responsabilità che hanno avuto anche le forze progressiste nel processo di precarizzazione del lavoro, ricordando che non è solo il lavoro formalmente dipendente ad essere in condizioni di sfruttamento e precarietà.

Restare nel vago su identità, progetto, forma organizzativa del “nuovo Pd”, non è la condizione per tenere insieme le varie anime del partito?
La difesa dell’identità non può essere la difesa di ciò che siamo e il rischio di un congresso che non vada a fondo su tutti i nodi che ho già esposto, c’è. E leggere minacce di abbandono del partito in caso di vittoria di questo o quel candidato, mi ha lasciata molto perplessa. Se non il congresso, qual è lo strumento per sciogliere i nodi? Si tratta di determinare il profilo programmatico del Pd del futuro per essere credibili e attrattivi. Evitare questo confronto conduce alla marginalità.

In tanti, a cominciare da Enrico Letta, evocano un Pd “pugnace”. In concreto?
Siamo all’opposizione di una destra che già con il suo primo atto programmatico, cioè la manovra, si dimostra lontana dal popolo a cui si richiama retoricamente, con proposte che allargano le disuguaglianze e ricette che non producono né sviluppo né sostenibilità. A una manovra iniqua e inefficiente contrapponiamo, con emendamenti e disegni di legge, il salario minimo legale, interventi di tutela riguardo ai licenziamenti illegittimi con riferimento alle sentenze della Corte Costituzionale sul Jobs act, benefici pubblici vincolati all’applicazione dei Ccnl e contrasto ai contratti pirata. Ci opponiamo alla cancellazione di Opzione donna, all’aumento della soglia del contante e ai limiti per i pagamenti tramite pos. Poi c’è il reddito di cittadinanza e anche in questo caso la destra ha fatto la destra, togliendo risorse da uno strumento che, seppur da migliorare come abbiamo proposto, ha limitato l’impatto della crisi pandemica e energetica sulle fasce più deboli, per andare estendere fino agli 85mila euro la flat tax per i lavoratori autonomi, creando oltretutto una evidente iniquità con il livello di tassazione dei lavori dipendenti. Non è con questo che si sostiene il lavoro autonomo.

Due donne, De Micheli e Schlein, hanno avanzato la loro candidatura alla segreteria. Il “nuovo Pd” ha il volto di donna?
I vertici istituzionali e politici del Pd in Parlamento sono quattro donne e non c’è alcun dubbio che anche la carica più importante del nostro partito debba essere contendibile da una leadership femminile. Ad oggi, con due candidate su tre, questo sta accadendo ed è certamente un fatto politico. Il problema ancora sul tavolo è il pieno riconoscimento delle leadership femminili anche nel nostro partito. Oggi penso che ci siano degli evidenti passi in avanti e questo congresso potrà esserne la dimostrazione.

Si vota in Lombardia e Lazio e torna l’assillo delle alleanze. Con i 5Stelle di Conte o con il centro di Calenda e Renzi?
Se non si parte dal profilo del Pd la discussione sulle alleanze a prescindere diventa solo un esercizio tattico interno. Anche per questo è necessario definire le priorità del Pd perché a quel punto le alleanze diventeranno un passaggio politico naturale e utile ad allargare il consenso di una coalizione competitiva. Per le Regionali il discorso è parzialmente diverso, perché intervengono specificità locali. Con Pierfrancesco Majorino in Lombardia e Alessio D’Amato nel Lazio abbiamo messo in campo candidature certamente all’altezza delle sfide in due grandi regioni italiane.

Sul caso Qatar si pone una questione più politica che morale?
Poiché non riesco immaginare una politica amorale, dico entrambe. Se sarà confermato anche parzialmente quanto già oggi appare evidente, la condanna è totale e, indipendentemente dall’operato della magistratura, non potranno esserci sconti o reticenze. Aggiungo che la dimensione europea consegna la responsabilità di come salvaguardare la trasparenza e la regolarità della democrazia istituzionale rispetto agli interessi privati o di nazioni extraeuropee.

Avatar photo

Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.