Un congresso di confronto e non di conta. Quello del “nuovo PD”. Il Riformista ne discute con Cesare Damiano. Già ministro del Lavoro, Damiano fa parte del Comitato costituente che dovrà definire la carta valoriale Dem.

In campo per la segreteria dem è scesa anche Elly Schlein. Una candidatura di rottura?
Ho voluto partecipare all’assemblea indetta da Elly Schlein a Roma perché ritengo fondamentale ascoltare argomentazioni e programmi per poi scegliere le candidature. Schlein ha fatto un discorso radicale e di sinistra che contiene molti elementi di rottura rispetto alle attuali dinamiche del Pd. E in questo momento una rottura è indispensabile soprattutto se dobbiamo prendere atto che l’esperienza fin qui maturata ha portato ad un esito negativo soprattutto in termini di smarrimento dell’identità e di rapporto con la nostra base popolare. Del resto, una riprova dei diversi punti di vista la abbiamo nel dibattito che si sta svolgendo nel Comitato costituente del Pd, dove ci sono due tesi che si confrontano e una di queste sostiene la necessità di un mero aggiornamento della Carta dei valori fondativi. Se dobbiamo ricostruire un partito dalle fondamenta, come possiamo ritenere ancora valida la carta dei valori che lo aveva ispirato nel lontano 2007? Aggiungo: dobbiamo archiviare la subordinazione ad alcune tesi del liberismo e della “terza via” di Tony Blair. È finito quel tempo, abbiamo bisogno di cambiamento profondo. Da questo punto di vista gli elementi di rottura che Schlein ha portato nel suo discorso pubblico sono sicuramente positivi. Ascolterò le piattaforme di tutti i candidati e poi sceglierò.

Si parla di “identità”, ma in pochi provano a sostanziare questa parola
La domanda che mi sono sempre fatto è come può definirsi di sinistra un partito che non viene votato dagli operai e dai ceti popolari, che viene viceversa identificato come il partito della Ztl. L’errore di base è stato la scrittura di uno Statuto che in qualche modo ha imbalsamato le culture fondamentali che hanno costituito il PD: il cattolicesimo democratico da una parte e il socialismo democratico dall’altra. La preoccupazione del prevalere di una componente sull’altra ha portato alla scrittura di uno Statuto nel quale non appare neanche la parola “congresso”, si è svuotato il ruolo degli iscritti e depotenziato il radicamento territoriale a fronte della teoria del partito leggero. Io vorrei tornare ad un partito popolare nel quale il profilo identitario diventa una base essenziale e nel quale il ruolo degli iscritti torna ad essere centrale. Se penso all’identità, non posso che andare alla mia storia, fatta di due grandi simboli: la Cgil di Luciano Lama e il Partito Comunista italiano di Enrico Berlinguer. Quelle radici hanno avuto una evoluzione, ma rimangono una ispirazione di orizzonte, come la vocazione popolare, il radicamento territoriale, la capacità di entrare in connessione con i problemi, i bisogni e le rivendicazioni non solo dei vincitori di questa competizione globale spietata e aggressiva, ma anche di quelli che perdono la gara della competizione, costretti a subire le diseguaglianze crescenti di questo nostro tempo. Dobbiamo, in sostanza, ricostruire un blocco sociale di popolo.

Andrea Orlando ha proposto un cambio di sigla. Il “nuovo PD”, dovrebbe chiamarsi Partito democratico del lavoro.
Orlando ha proposto di indire un referendum sull’idea avanzata da Matteo Lepore, sindaco di Bologna, di aggiornare la sigla del Pd aggiungendo la parola “lavoro”. Sono molto d’accordo su questa specificazione che non è soltanto lessicale, ma simbolica, che potrebbe rappresentare anch’essa un elemento di discontinuità e di svolta verso quell’indirizzo popolare che io auspico da tempo. La centralità del lavoro e dello Stato sociale vanno di pari passo con una cultura dei diritti civili e di cittadinanza che dovrebbero caratterizzare il Pd. Se il lavoro torna centrale allora dobbiamo combattere per un lavoro a tempo indeterminato, stabile, con leggi che lo incentivino, contro il lavoro povero destinato a creare pensionati poveri e per i diritti del lavoro autonomo di nuova generazione.

Si vota in Lombardia e Lazio e torna alla ribalta l’irrisolto problema delle alleanze: 5Stelle o il centro di Calenda e Renzi. Quest’ultimo per la Lombardia ha proposto un ticket Moratti-Maiorino.
Non possiamo anteporre il tema delle alleanze a quello della ricostruzione di un’identità e di un programma. Abbiamo degli importanti appuntamenti elettorali nelle regioni, naturalmente si tratta di valutare caso per caso, ma direi che è sconsigliabile ripetere l’errore già fatto: voler governare a tutti i costi. Credo sia impossibile, tanto per fare un esempio, proporre un ticket Moratti-Majorino. Con il M5s il rapporto è complicato, Conte vuole fare un’opa sul Pd, è chiaro, ma a livello territoriale c’è chi lavora per una intesa. Quello di cui sono convinto è che le alleanze debbano partire dai programmi. Proviamo a ritrovare la via perché questo è davvero l’ultimo treno.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.