La “sinistra e i sepolcri imbiancati”. La parola ad Achille Occhetto, l’ultimo segretario del Pci e il primo segretario del Partito democratico della sinistra, oggi prezioso “battitore libero” della sinistra. Un “battitore” che non ha peli sulla lingua e non fa sconti. Ebbe a dire: «Così i comunisti, i socialisti, più semplicemente i liberali-democratici prevedono, desiderano ed auspicano la partecipazione, la militanza, la presenza democratica. Il fatto che oggi si dimentichi anche questo dimostra a quale obnubilamento, a quale arretramento culturale sono arrivati i gruppi dirigenti della sinistra». A 85 anni, Occhetto non ha smesso di progettare il futuro. Una forma di futuro. Tesi e malintesi su un futuro che verrà (Marsilio editore, 2020) è anche il titolo del suo ultimo saggio.
Il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, ha rilanciato la proposta di una dote di 10mila euro ai 18enni meno abbienti, da finanziare con l’aumento delle tasse di successione dei ricchi, con patrimoni oltre i 5 milioni. C’è chi ha parlato di una proposta velleitaria, chi ha risposto con un silenzio imbarazzato, chi ha gridato “Ecco smascherato il partito delle tasse”. Lei come si schiera?
Anzitutto voglio rilevare che la proposta di Letta ha avuto una serie di risposte da “sepolcri imbiancati”. Perché al di là delle critiche scontate della destra, anche in campo democratico si è affermato che in una situazione di crisi non è il momento di aumentare le tasse ai più ricchi. Ebbene, questo è un deficit di cultura politica perché si è immemori del fatto che governi non diretti da Che Guevara proprio in quei momenti hanno alzato le tasse ai più ricchi. Tutte le grandi crisi del debito pubblico si sono risolte in questo modo.
Ad esempio?
In Germania, dopo la Seconda guerra mondiale, nel 1952, fu istituito un prelievo eccezionale sui patrimoni privati più alti, che poteva arrivare fino al 50%. E questo consentì di ridurre il debito pubblico tedesco in modo più accelerato e di finanziare la ricostruzione del dopoguerra. Secondo argomento da “sepolcri imbiancati”, e questo lo considero anche estremamente volgare, è che non si mettono le mani nelle tasche dei cittadini. È un argomento gravissimo, perché tende a dare un’immagine distorta della funzione della tassazione e dei compiti dello Stato. E la stessa frase infelice di Draghi – che in una situazione di crisi è il momento di dare e non di prendere – mi fa pensare e porre un interrogativo rivolto al presidente del Consiglio e alle forze progressiste che sostengono il suo governo o che si sono attestate in una opposizione costruttiva.
Quale questo interrogativo strategico?
Vogliamo risolvere i problemi sociali solo aumentando continuamente il debito o non è anche giunto il momento di metter mano alla redistribuzione? Capovolgo la frase di Draghi. È il momento di togliere ai più ricchi per dare allo Stato per le politiche di welfare, della salute, della scuola, della ricerca, cioè proprio per quelle criticità svelate dal virus in questo momento. È proprio questa contingenza drammatica a costringerci a guardare oltre, ad affrontare i temi dello sviluppo e degli investimenti necessari per salvare il mondo. Il vero tema sono le risorse e il loro collocamento. Io dico che tutte le misure che saranno prese, dovranno ruotare intorno a un perno. Un perno che superi l’idolatria del pil e metta al centro una nuova qualità della crescita, al momento in gran parte compromessa. Il perno di un new deal ecosostenibile, che non consideri l’ambiente solo come una pagina a parte. È questa l’unica alternativa a quanti sostengono che, per far fronte alla drammatica emergenza della pandemia, ci si debba inevitabilmente indebitare sempre di più. Dobbiamo trovare, invece, forme di investimento che siano autosufficienti, che ci possano garantire l’autofinanziamento, in luogo della corsa verso il precipizio dell’indebitamento a oltranza.
La sinistra è stata all’altezza di questa sfida?
Direi di no, purtroppo. Si è lasciata passare, come una sottocultura, anche l’affermazione che fu iniziata da Forza Italia, da Berlusconi, “meno tasse per tutti”. Che i romani nella loro tagliente bonomia hanno giustamente tradotto “meno tasse per Totti”. Con questo si è fatta passare l’idea menzognera che la sinistra vuole alzare le tasse per tutti, cosa totalmente falsa. Ma questo è anche colpa della sinistra, perché proprio su quella campagna è stata latitante. È mancata una campagna permanente, di chiarificazione, popolare, sul significato in un regime democratico della tassazione. Per cui ci troviamo di fronte al paradosso che vediamo i più poveri tremare, quando si parla di tasse, per la sorte dei più ricchi. E questo è assurdo. In quanto credono che vanno a perdere solo loro. E i mass media glielo fanno credere. Non si è spiegato l’inganno che si annida in quella affermazione, meno tasse per tutti. Per la destra, alla riduzione delle imposte sugli utili societari e sulle speculazioni finanziarie, non corrisponderebbe un equivalente abbassamento della pressione fiscale sul reddito da lavoro, che verrebbe doppiamente penalizzato da una complessiva depressione fiscale. Perché se lo Stato ha meno soldi si colpiscono le spese che lo Stato deve fare a favore dei più poveri, della sicurezza, dell’assistenza medica e sociale della maggioranza dei cittadini poveri ma anche della stessa classe media. In sostanza non si è spiegata questa falsità. Un’altra critica, avanzata dai furbetti in modo da non prendere posizione: sì, la proposta di Letta è bella ma è troppo poco, è parziale.
Come risponde?
A questa critica io rispondo: certo, sarebbe meglio di più, sarebbe meglio aumentare complessivamente l’imposta di successione. Sarebbe bene anche introdurre una imposta annuale sulle grandi fortune. Quando si dice che quel tema va affrontato dentro la riforma fiscale, io rispondo, bene, ma allora vedremo se ci sarà l’idea di una dotazione universale di capitale per finanziare i giovani. E se ci sarà un equilibrio tra imposta progressiva sul reddito, imposta progressiva sulle successioni e poi fino a che punto i cuor di leone che volevano qualcosa di più sono disposti a spingersi per una imposta progressiva annuale sulla proprietà.
Altre annotazioni?
Fino ad ora si è perseguito la costruzione di uno Stato fiscale e sociale nell’ambito ristretto dello Stato-nazione. E invece è giunto il momento della fiscalità sovranazionale che chiede una riforma, per ciò che riguarda l’Europa, di tutta l’impalcatura istituzionale europea. Lo posso dire oggi dopo che abbiamo assistito ad un evento storico, per quanto limitato…
Di quale evento si tratta?
Per la prima volta si è introdotta la proposta di una tassa mondiale. Il mondo unito ha deciso, per la prima volta, su iniziativa di Biden e col convinto supporto di Draghi, di introdurre una tassa mondiale, proponendosi di tassare i colossi del web, Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft, per fornire un supporto indispensabile a ciascun abitante della Terra. E questo – è la proposta che mi sento di avanzare – dovrebbe essere rigorosamente destinato all’istruzione e alla ricerca. Bisogna pensare seriamente a una dotazione universale di capitale da destinare ai giovani, di cui in Italia abbiamo avuto una sia pur parziale semplificazione nella recente proposta del segretario del Pd Letta a proposito dell’eredità. Parziale, dico, ma d’indubbio valore simbolico, che andrebbe esteso attraverso una più generale azione di massa. Lo dico al Pd: non facciamo la solita cosa, che si scrivono documenti e non si prendono le necessarie conclusioni in un’azione politica partecipata nel Paese. Un’azione di massa sui temi di una fiscalità progressiva e della stessa promozione di una proprietà sociale basata sulla proprietà azionaria dei dipendenti, ponendo per la prima volta seriamente il problema della cogestione, nel contesto di quella visione più ampia della democrazia economica alla quale più volte io mi sono riferito.
Lei in precedenza ha fatto riferimento a Joe Biden. Ad un presidente Usa che nel suo programma parla di tasse ai super ricchi, di massicci investimenti nella sanità pubblica, nell’istruzione, nelle infrastrutture. Un presidente che ha fatto della lotta alla corruzione una “mission” del suo quadriennio alla Casa Bianca. Se queste cose fossero state dette in Italia, da un Primo ministro, sarebbe stato tacciato di essere un pericoloso “comunista”. Perché non si può essere anche nel nostro Paese un coerente e conseguente riformista?
Perché noi abbiamo accettato un abbassamento culturale complessivo del valore del bene pubblico e anche della concezione più alta e dignitosa della funzione dello Stato. L’abbiamo depressa, l’abbiamo distrutta nel corso degli anni. Sull’onda di questa impostazione si è sedimentata una cultura da un lato meramente protestataria e dall’altro che si arrocca nella difesa dell’esistente, che va capovolta. È importante il riferimento fatto a Biden. Perché io vedo che c’è un vento nuovo che viene dall’altra sponda dell’Atlantico e che è destinato a cambiare molto nella politica internazionale.
