«Il socialismo, un socialismo liberale nella società della conoscenza non lo si fa ridistribuendo una piccola quota di capitale finanziario. Lo si fa con enormi investimenti nel campo della formazione, dell’istruzione. L’orizzonte di un socialismo liberale in questa fase storica è quello della redistribuzione delle opportunità». A sostenerlo in questa conversazione con Il Riformista è Enrico Morando, leader dell’area liberal del Pd, tra i fondatori dell’associazione di cultura politica Libertà Eguale, già vice ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni. Un “riformista” dem doc.

Il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, ha proposto una dote di 10mila euro ai 18enni meno abbienti, da finanziare con l’aumento delle tasse di successione dei ricchi, con patrimoni oltre i 5 milioni. Apriti cielo. C’è chi ha gridato “Ecco smascherato il partito delle tasse”, chi, invece, citando Nanni Moretti, ha gioito: finalmente “Ha detto una cosa di sinistra”. Lei come la pensa?
Penso che prima di avanzare critiche, giuste o sbagliate che siano, una proposta la si debba conoscere e non orecchiare. La proposta avanzata da Enrico Letta prevede di istituire una dote pari a 10mila euro ai ragazzi della “generazione Covid”, e questo non è un particolare irrilevante, che oggi hanno tra i 13 e i 18 anni. Una dote finanziata con un aumento dell’aliquota dal 4 al 20% sulle eredità e sulle donazioni che superano i 5 milioni di valore. La proposta è questa. E ora, nel merito. I nuovi diciottenni ogni anno sono circa 560mila. Poiché i destinatari sono solo quelli che hanno un Isee inferiore al “mediano”, la dote riguarderebbe la metà dei diciottenni. Il costo di questa operazione sarebbe, grosso modo, di 2,8miliardi l’anno. Prima osservazione: si tratterebbe di una misura straordinaria, non permanente che riguarda soltanto i giovani che compiranno i 18 anni nei prossimi cinque anni. Una misura straordinaria che, però, è coperta con un permanente aumento di pressione fiscale e questo avanza un primo problema. Ma ce n’è un altro.

Quale?
In Italia, sia pure molto limitata, una imposta di successione c’è. Secondo gli studi che ho visto, il gettito sarebbe attorno ai 400milioni di euro l’anno. Ma oggi quel gettito deriva in larghissima misura da eredità e donazioni decisamente molto inferiori ai 5milioni. Ed è assai dubitabile che una imposizione sulle eredità e sulle donazioni superiori ai 5 milioni determini un introito pari al 2,8 miliardi, anche se dovessi portare l’aliquota al 20%. Prima conclusione: sul piano finanziario, la copertura prospettata non è sufficiente. A ciò aggiungo che quella proposta presenta anche un evidente inconveniente che gli esperti definiscono “trappola della povertà”…

In cosa consiste questa “trappola”?
A definire il bacino dei diciottenni che avrebbero diritto alla dote dei 10mila euro è il reddito Isee “mediano”. Ma se al compimento dei 18 anni, uno passa al reddito “mediano” più 1 euro, non prende niente. Basta sforare di 1 euro, e sei fuori. Classica situazione nella quale la spinta implicita nella norma è stare sotto il reddito Isee mediano. Ecco perché si chiama “trappola della povertà”. Anche da questo punto di vista, la proposta avanzata da Letta mi pare mal congegnata. Ma io non vorrei soffermarmi tanto su quello che ha fatto parlare, vale a dire la copertura finanziaria di questa norma, cioè l’imposta di successione, quanto sulla pars construens di questa proposta, cioè la dote per i giovani della “generazione Covid”. In un contesto come quello della pandemia, mentre i trasferimenti pubblici alle famiglie italiane nel 2020 aumentavano rispetto all’anno precedente di 30 miliardi, al netto delle pensioni, il numero dei lavoratori a tempo determinato crollava. Che lavoro hanno i giovani in Italia quando ce l’hanno? Hanno un lavoro a tempo determinato. Le vittime economiche del Covid, sono in particolare le donne e i giovani, i lavoratori autonomi, le partite Iva, che hanno rapporti di lavoro a tempo determinato e più “precari”. Tant’è vero che solo pochi giorni va il Governatore di Banca Italia, Ignazio Visco, è tornato a ricordarci che in Italia abbiamo purtroppo il record europeo, 3 milioni, di giovani tra i 15 e i 34 anni che non lavorano e non studiano.

Obiettivi ambiziosi. Ma tutto questo cosa c’entra con la proposta avanzata dal segretario del Pd?
C’entra, eccome se c’entra. È ovvio che ricevere 10mila euro quando compiono 18 anni sarebbe un regalo apprezzato da parte dei giovani che lo ricevono, ma noi ci dobbiamo chiedere: in questo contesto, è quello di cui hanno bisogno? Se lo Stato ha 2,8 miliardi da spendere ogni anno a favore dei giovani, deve fare questo?

La sua risposta qual è?
Noi siamo, come noto, nella società della conoscenza. Marx oggi direbbe che il valore di un prodotto è dato dalla quantità di conoscenza che quel prodotto incorpora. Quindi il “capitale” da redistribuire non è quello fisico – macchine, capannoni etc. – o quello finanziario prevalentemente. Il “capitale” del socialismo liberale da redistribuire a favore dei più deboli, nella società della conoscenza, è quello umano. Per farci capire meglio: un sistema d’istruzione pubblico di elevatissima qualità che si proponga esplicitamente di piegare il sistema delle opportunità a favore dei bambini meno fortunati. Questo si ottiene con un sistema d’istruzione di massa ma di eccellenza, all’interno del quale ci siano misure esplicite di discriminazione positiva con l’uso di risorse pubbliche a favore di quelli che nascono in famiglie meno in grado di fornire capitale umano ai loro ragazzi, e poi con le politiche attive per il lavoro. In una situazione come questa, se vogliamo fare qualcosa di sinistra, e io vorrei che il Pd facesse delle cose di sinistra, è del tutto evidente che la redistribuzione di opportunità che dobbiamo realizzare ha a che fare con questo problema: i ricchi stanno risolvendo il problema di dotazione d’istruzione dei loro figli impiegando un volume gigantesco di risorse, che loro hanno a disposizione – sia in patria sia eventualmente fuori – dall’asilo nido fino all’università. E questo investimento è quello che fa la differenza. La disuguaglianza nel mondo contemporaneo nasce dalle troppo diseguali opportunità che si danno ai giovani dal momento in cui nascono fino a quando escono dall’università. Se questo è il problema, è del tutto evidente che la proposta avanzata da Enrico Letta è, a mio avviso, sbagliata non tanto per la parte che riguarda la copertura finanziaria della misura.

E qual è lo sbaglio più grande?
È sbagliata per la misura in sé. Perché il socialismo, mi si passi l’espressione, non si fa nel 2021 attraverso la redistribuzione di una piccola quota di capitale finanziario da parte dello Stato ai giovani meno abbienti, meno fortunati. Si fa intervenendo, attraverso un enorme investimento di risorse pubbliche a favore della formazione, dell’istruzione di questi ragazzi, e s’incomincia da quando sono nel grembo materno con l’aiuto alle donne sole a costruire un clima favorevole alla nascita del bambino, fino al termine degli studi, quando avranno più di vent’anni. Questo è il nodo, difficilissimo da sciogliere non vi è dubbio, ma se avessimo 2 miliardi e mezzo e più da impiegare ogni anno a favore dei diciottenni, io contesto che la loro destinazione corretta sarebbe quella indicata dall’assegno ai diciottenni. Io penso che il nodo cruciale d’affrontare sia quello, appunto, della formazione e di un meccanismo che una volta formato, a livello di eccellenza adeguato, fornisca poi al lavoratore un’assistenza vera. E lì parliamo delle politiche attive sul lavoro. La scelta di una priorità come quella di un assegno ai diciottenni segnala che esiste un problema di comprensione di quale sia la funzione oggi della sinistra in questo momento, in Italia e nel mondo. La nostra ambizione deve essere di determinare passi continui in avanti verso l’obiettivo della uguaglianza, obiettivo caratteristico della sinistra, ma facendolo nella società contemporanea, dove la ridistribuzione delle opportunità avviene prevalentemente, anche se non esclusivamente, sul lato del cosiddetto capitale umano, cioè sul lato della formazione e dell’aiuto, una volta formati e riqualificati, a trovare lavoro. Ciò che in Italia manca.

E sul versante delle politiche fiscali? C’è chi ha accusato il Pd di essere “il partito delle tasse”.
Nel Pnrr presentato da Draghi c’è l’impegno a realizzare la riforma fiscale complessiva che inseguiamo da anni. In un sistema fiscale riformato, in cui si riduca la pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa, un innalzamento relativo dell’imposta di successione ci sta, se discutiamo di quello. Ma se io avanzo, a parità di pressione fiscale complessiva, la proposta di innalzare quella di successione per finanziare nuova spesa, io sto semplicemente aumentando la pressione fiscale che è già a livelli da record europeo. Quindi faccio un’operazione che non è coerente con l’impegno che ci viene richiesto a sostegno di Draghi, di realizzare una riforma che ridistribuisca il carico fiscale, premendo meno sul lavoro, e anche questa a me sembra una cosa di sinistra, e sull’impresa, ed eventualmente un po’ più sui consumi e sui patrimoni. Ma se si parte isolando una specifica proposta, francamente si fa il gioco di Salvini che ha una proposta insostenibile, la flat tax a cui Draghi ha già detto che con il governo che lui presiede non si farà. Ma Salvini adesso si gonfia il petto con la proposta dell’imposta di successione per finanziare l’assegno ai giovani. Quella di Letta è stata una mossa anche politicamente, dal punto di vista tattico, non particolarmente avveduta, in un contesto in cui noi dovremmo essere il partito che più coerentemente lavora per consentire che si realizzino tutte le riforme previste dal Pnrr presentate da Mario Draghi.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.