La “proposta-Letta”, una nuova centralità del lavoro e il conflitto sociale negato. Il Riformista ne discute con Marco Bentivogli. Coordinatore nazionale di Base Italia, ex leader dei metalmeccanici Cisl, è passato alla storia del sindacato come il principale fautore della rivoluzione Industria 4.0. Nel 2018, con l’allora ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda lanciò un Piano industriale per l’Italia delle competenze (Piano Calenda-Bentivogli). Tra le riforme prioritarie c’è quella della Giustizia. «Si possono avere più giudizi sulle sentenze di condanna di ieri del Processo Ilva – rimarca Bentivogli che da segretario nazionale ha seguito la siderurgia e l’Ilva dal 2008 – . Che le condanne arrivino a 9 anni dal sequestro e dai primi arresti, testimonia che sulla giustizia c’è molto da fare».

Il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, ha proposto una dote di 10mila euro ai 18enni meno abbienti, da finanziare con l’aumento delle tasse di successione dei ricchi, con patrimoni oltre i 5 milioni. C’è chi ha parlato di una proposta velleitaria, chi ha gridato: “ecco smascherato il partito delle tasse”, chi, invece, citando Nanni Moretti, ha gioito: finalmente “ha detto una cosa di sinistra”. Lei come la pensa?
L’aliquota della tassa sulle successioni è molto bassa e non è uno scandalo prevedere un suo aumento, anzi. Tuttavia, conti alla mano, il gettito della tassa non sarebbe sufficiente allo scopo. Poi non capisco, tra le precondizioni del Pnrr ci sono molte riforme importanti, tra esse la Riforma organica del sistema fiscale. La nostra storia è fatta di innumerevoli tentativi spot che hanno introdotto numerose tasse e che hanno portato la nostra pressione fiscale attorno al 63%: se la si vuole, giustamente, aumentare lo si faccia nell’ambito di un intervento complessivo. L’obiettivo sono i giovani, benissimo, era ora, quello che contesto è lo strumento. Dare 10.000€ ai giovani a che cosa serve? Le nuove generazioni sono state le più bistrattate dalle politiche pubbliche degli ultimi governi. E sono più importanti di bandierine identitarie per “profilare” un partito. E poi se lo si vuole fare verso sinistra, bisogna fare cose di sinistra sulla condizione giovanile. Dal 2016 gli identikit dei nuovi poveri corrispondono a quelli dei giovani con bassa istruzione. La pandemia ha colpito soprattutto ragazze e ragazzi lasciandoli senza lavoro. Il reddito è cresciuto tra gli over 65 e continua a calare tra gli under 35. Siamo sicuri che le politiche, sostenute anche dal Pd non abbiano accentuato queste disuguaglianze? È “di sinistra” continuare a non tener conto dei più fragili del mercato del lavoro? I diritti se non sono per tutti si chiamano “privilegi”, la frammentazione del lavoro e delle sue tutele, un welfare sempre più debole per le nuove generazioni. Facciamo una tabella sui diritti di ragazze e ragazzi e quelle delle generazioni precedenti? E la globalizzazione non c’entra niente, i giovani sono pochi e composti e sono stati dimenticati. Nella relazione del governatore della Banca d’Italia di ieri c’è una tabella drammatica: siamo primi in classifica (fonte Eurostat) per giovani tra i 15 e i 34 anni senza lavoro e non inseriti né in un percorso di istruzione né di formazione (Neet). Non è con la dote che si ribalta la situazione ma con il lavoro, le competenze, gli investimenti.

Salvini intanto si dichiara disponibile a discutere con Letta della possibilità di prorogare il blocco dei licenziamenti.
Ci tengo a ricordare che ci sono state un milione le persone che han perso il lavoro. E questo nonostante cassa covid gratuita e blocco dei licenziamenti. A quanto pare sono invisibili. Capisco la demagogia di Salvini ma la sinistra è tale non se sventola bandierine ma se capisce che le tutele devono essere più forti in modo direttamente proporzionale alla fragilità contrattuale. E qui invece a casa son rimaste donne e giovani che avevano contratti a termine e di somministrazione. Il lavoro autonomo con le partite Iva a mono-committenza sono state colpite duramente.

Un tema si propone con forza: la riduzione delle disuguaglianze. Su questo nessuno eccepisce. Ma poi, quando si entra nel merito…
Lo dicevo, il velleitarismo, e la difesa dei garantiti è il nostro generatore automatico delle disuguaglianze. La crisi a livello globale della sinistra è una crisi di funzione legata al fatto che non è in grado di produrre politiche in grado di ridurre le disuguaglianze e quando asseconda la difesa corporativa semmai le accentua. Quota 100, le scuole chiuse, sono generatori automatici di diseguaglianze. Dall’essere innocui si è diventati sostenitori delle cause che determinano le nuove disuguaglianze. Le origini delle nuove disuguaglianze sono multifattoriali. Guardare l’indice di Gini (Il coefficiente di Gini, introdotto dallo statistico italiano Corrado Gini, è una misura della diseguaglianza di una distribuzione. È spesso usato come indice di concentrazione per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito o anche della ricchezza, ndr) spiega solo un pezzo della verità, e ancora meno visto il livello di lavoro nero e di evasione fiscale. A parità di reddito, in alcune regioni, uno Stato da cui devi stare alla larga per qualità del servizio sanitario, del sistema scolastico e della burocrazia, ti garantisce un minor reddito disponibile, ti azzera le opportunità di crescita e ti riduce in generale tutte le chanche di vita. Capisco che è più facile dare la colpa a nemici fuori tiro come la globalizzazione, i migranti, la tecnologia, ma prima o poi si capirà che le cause sono tutte qui in casa, e sono legate all’incapacità della politica di modernizzare lo Stato e di metterlo al fianco dei cittadini dalle Alpi alla Sicilia. Difendere le inefficienze dello Stato non è di sinistra: è un crimine.

“Ripartire dal lavoro: questa dovrebbe essere la parola d’ordine della sinistra di oggi”. Condivide questa asserzione e come andrebbe declinata?
Concordo con Mario Tronti, del lavoro interessa poco a tutti gli schieramenti politici. Siamo l’ultimo paese al mondo in cui il discorso pubblico sul punto o è assente o quando si apre è intriso di un’ideologizzazione naftalinica che impedisce di capire i mutamenti, il senso, il significato del lavoro di oggi. Un gruppo dirigente che si fa fare l’agenda prima dai populisti e poi dagli influencer testimonia la propria bancarotta culturale. Il lavoro è il crocevia delle tre grandi trasformazioni, digitale, demografica e climatico-ambientale. E il lavoro oggi ha bisogno di un pensiero nuovo, di una propria produzione culturale che accompagni questa trasformazione. Una volta, nei partiti, quello del responsabile al lavoro era un ruolo importante: oggi o non conta o non è proprio previsto. In un momento in cui c’è un foglio bianco da scrivere, la vecchia retorica del lavoro novecentesca fa presa solo dentro le mura aureliane. Occorreranno presto moderni, competenti ed esperti architetti del nuovo lavoro, libero, creativo, partecipativo e solidale (come dice papa Francesco).

La Cgil ha evocato la possibilità di uno sciopero generale. Uno scenario che di questi tempi sembra essere diventato eccezionale, quasi “eversivo”. Eppure in una società democratica il conflitto sociale non dovrebbe incutere paura.
Che si consideri lo sciopero uno strumento “eversivo” è il segno dei tempi. Non Karl Marx ma Dahrendorf, molto più recentemente, ha sempre sostenuto che il conflitto sociale, non solo è ineliminabile ma è un elemento insito nelle democrazie liberali a causa dello squilibrio di distribuzione di potere. Per cui lo sciopero è uno strumento utile quando non si è ascoltati. Gli scioperi dei sindacati autonomi, in testa alle corporazioni, hanno altra natura, e hanno forza proporzionale all’utilizzo dello sciopero per tenere in scacco il cittadino e non la controparte che in qualche caso ci guadagna con le mobilitazioni. Altro discorso riguarda il Sindacato Confederale, il paese sta lentamente mettendosi alle spalle i momenti più drammatici e sono sicuro che tutte le scelte delle organizzazioni sindacali confederali saranno meditate. Detto ciò la mediazione offerta da Draghi sugli appalti va valorizzata. Una cosa mi fa riflettere: tutte le forze politiche si sono schierate contro i subappalti, ma ancora una volta non si capisce di chi sia figlia quella norma. E non condivido un punto della posizione di Landini: questa idea della sala verde aperta permanentemente. Ho seguito le più grandi vertenze degli ultimi 13 anni, con governi più o meno inclini a portare tutto a palazzo Chigi. Nella mia esperienza, di per sé essere a via Molise, in una sede regionale o in Sala verde non cambia le cose. Il lavoro fondamentale è a valle e a monte degli incontri. Il prestigio della sede non è garanzia di soluzione e Maurizio lo sa bene. Il lavoro in sala macchine di preparazione delle vertenze è il più importante.

Recovery plan. Assieme al compimento della campagna di vaccinazione, è la mission del governo Draghi. Qual è in merito la sua valutazione? Obiettivo raggiunto?
Quando sento alcuni asserire che il testo è identico al precedente, ovvero quello elaborato dal governo Conte, capisco che chi lo afferma molto probabilmente non ha letto né i vecchi, né i nuovi testi. Le missioni sono numerose. Mi aspettavo di più su alcuni capitoli: maggiori risorse e chiarezza sulla ricerca di base, l’innovazione e il trasferimento tecnologico e delle competenze. Come dicevo, la parte sul lavoro è molto carente. Il paese che utilizza la maggiore quantità di risorse dei paesi europei per la protezione del lavoro con lo Sure, meritava una parte sul lavoro molto più forte. Il vero banco di prova comunque saranno le riforme, il vero terreno di tenuta del Governo e soprattutto di maturità delle forze politiche sarà sulla modernizzazione del paese. La Riforma Fiscale, della Giustizia, della PA, le semplificazioni, la digitalizzazione. Lì vedremo se siamo ancora prigionieri delle corporazioni o sapremo guardare all’interesse generale del paese. Si possono avere più giudizi sulle sentenze di condanna di ieri del Processo Ilva. Che le condanne arrivino a 9 anni dal sequestro e dai primi arresti, testimonia che sulla giustizia c’è molto da fare.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.