Il metodo Draghi piace alla maggioranza degli italiani. E questo non era scontato a cento giorni dalla fiducia, nel mezzo della più grave crisi economica dalla seconda guerra mondiale figlia di una pandemia che nessuno aveva previsto. Le modalità con cui Mario Draghi è entrato a palazzo Chigi non sono state esattamente quelle più idonee a favorire la classica luna di miele del premier al primo mandato.

Nel giorno in cui i sondaggisti fotografano la “promozione” di Draghi (50,6% con il 27% di indecisi, rilevamento YouTrend per SkyTg24) grazie al successo della campagna vaccinale, alla gradualità con cui sta riaprendo il paese e al pragmatismo con cui ha gestito finora la larga maggioranza che lo sostiene, il premier inizia però la settimana più delicata per la sua mission. Che al punto 3), dopo vaccini e riaperture, vede il rilancio del paese grazie al trampolino del Pnrr. Ecco che sondaggi e gradimento vanno subito a fare i conti con due decreti decisivi per il futuro del Pnrr: le Semplificazioni e l’insediamento della cabina di regia. «In varie occasioni della mia vita mi hanno chiesto: “Come pensi di farcela?”. Beh, insomma, abbastanza spesso ce l’ho fatta io, e stavolta ce la farà il governo. Ho fiducia nel Parlamento», ha detto il premier giovedì scorso in conferenza stampa. Una frase che ha subito animato talk show, analisti e osservatori della politica impegnati a definire il “metodo Draghi”. Che, in sintesi, procede in tre tempi: proposta, ascolto e sintesi. Dopo anni di populismo, fughe in avanti e burrascose marce indietro e nulla di fatto, due concetti antichi come pragmatismo e autorevolezza posso diventare rivoluzionari.

La missione di Draghi è un work in progress sottoposto a sfide continue. Questa settimana è a suo modo un passaggio chiave. Gli stessi sondaggi dicono che d’ora in avanti le priorità cambiano: scende la gestione della pandemia e salgono i temi economici, la ripartenza delle aziende e la creazione di posti di lavoro. Che va di pari passo con l’incubo della fine del blocco dei licenziamenti. Tutti temi che intrecciano il Pnrr e la capacità del governo di realizzarlo. Trovando “gli attrezzi giusti per farlo”. A cominciare dalla Cabina di regia che gestirà il Pnrr (la famosa o anche famigerata governance) e dalle Semplificazioni necessarie per sbloccare cantieri, appalti e pubblica amministrazione. Draghi ha promesso che governo e Parlamento avranno a disposizione questi “attrezzi” per la fine di questo mese. Sono questioni che vanno blindate il prima possibile. Per due motivi: la messa a terra dei progetti deve iniziare subito; l’inizio del semestre bianco, cioè l’impossibilità di sciogliere le camere, a fine luglio scatenerà la gara tra i partiti, di maggioranza e di opposizione, per le amministrative e per la partita del Quirinale. Le fibrillazioni sono destinate ad aumentare e le variabili a moltiplicarsi.

Il nodo “governance” – che aveva contribuito alla caduta del governo Conte – è stato risolto ieri mattina in una riunione durata meno di un’ora. Il nodo riguardava i ministeri, e quindi i partiti, che temevano di restare esclusi dalla decisioni che contano. Il compromesso finale, non al ribasso, prevede un sistema articolato su tre distinti livelli. C’è un livello politico con la cabina di regia che opera a Palazzo Chigi, presieduta dal presidente del Consiglio in formazione “a geometria variabile” alla quale parteciperanno i ministri e i sottosegretari competenti in ragione delle tematiche affrontate. La cabina di regia esercita poteri di indirizzo, impulso e coordinamento generale sull’attuazione degli interventi del Pnrr. Presso il ministero dell’Economia verrà invece istituita una Direzione generale che seguirà l’attuazione del piano con particolare riferimento all’andamento finanziario. Il secondo livello è quello del “dialogo sociale” attraverso l’istituzione di un tavolo permanente con i partner economici, sociali e territoriali, il coinvolgimento delle parti sociali e degli enti territoriali. Il terzo livello è quello tecnico, il più delicato: nasce una segreteria tecnica presso la presidenza del Consiglio dei ministri con compiti di supporto verso la cabina di regia e verso il tavolo permanente.

Una soluzione di buon senso, senza accentramenti né deleghe in bianco, che responsabilizza e costringe tutti a marciare con lo stesso passo. Senza boicottaggi o resistenze. Il decreto andrà in Consiglio dei ministri questa settimana. Draghi vuole portare, nella stessa riunione, anche il decreto Semplificazioni per cui nel fine settimana hanno alzato le barricate i partiti di sinistra e, in modo meno palese, i 5 Stelle. Questi ultimi non ne vogliono sapere di gare d’appalto semplificate, contratti al ribasso, e subappalti oltre la soglia attuale del 40 per cento dell’importo totale. Si tratta, in pratica, di buttare l’attuale codice degli appalti che nato per contrastare i clan mafiosi ha finito per bloccare l’apertura dei cantieri. «Così apriamo alle infiltrazioni mafiose», hanno detto in coro Leu, un pezzo di Pd e un pezzo di 5 Stelle. Lega, Forza Italia, i centristi, Italia viva e un pezzo di Pd sono decisi ad andare avanti mettendo in campo più controlli. Contrari e pronti allo sciopero i sindacati: «La liberalizzazione oltre che essere un invito alle mafie abbassa la qualità delle condizioni di lavoro».

Ieri fonti di maggioranza legate alla sinistra mettevano in giro la voce che il decreto Semplificazioni “slitterà alla prossima settimana”. Palazzo Chigi tiene invece il timing previsto: “In Cdm tra giovedì pomeriggio, al massimo venerdì mattina”. La soluzione passa anche dal superamento di un altro nodo che si trova nel decreto Sostegni/2, quello approvato la scorsa settimana ma ancora non pubblicato in Gazzetta. La proroga fino al 28 agosto del blocco dei licenziamenti (e per alcune categorie) ha mandato in bestia, per motivi opposti, Confindustria e i sindacati. Anche qui serve una mediazione. Che non può essere solo un compromesso per andare avanti. Più che il metodo Orlando, è richiesto il metodo Draghi. Che tirerà dritto. Dopo aver ascoltato tutti. Come ha fatto sulle riaperture.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.