Lo scaffale
Inverness, il gelo e il calore dipinti nei racconti
È arrivata terza classificata al premio Campiello, Monica Pareschi, con “Inverness” (Polidoro editore), una raffinata raccolta di racconti molto intimi, personali. Pareschi è una traduttrice importante: sua è “la voce” italiana di (tra gli altri) Doris Lessing, Willa Cather, James G. Ballard, Bernard Malamud, Alice McDermott, Shirley Jackson, Hisham Matar, Charlotte ed Emily Brontë. Lei stessa ha detto, e non potrebbe essere diversamente, che esistono robusti fili tra la scrittura da lei tradotta e la sua prosa precisissima, dura quanto basta, ma poi a tratti lirica e leggera, tanto che il sorriso non manca.
Inverness è una città dell’estremo nord della Scozia, ed è anche il titolo dell’ultimo racconto. «Andremo fino a Inverness», dice la protagonista e io narrante all’amica con cui sta pianificando un viaggio tra Interrail e autostop. «P. mi guarda con aria interrogativa. E perché? Mi piace il nome, rispondo. Quello che non dico è che è un nome pieno di sole e di luce ghiacciata, azzurra. Un nome che contiene l’Inverno». Una città e un’idea di inverno gelido e luminoso in piena estate: realtà o illusione? La forma narrativa del racconto, che è sempre da maneggiare con cura proprio per la essenzialità – basta poco per rovinare tutto – qui si adatta perfettamente a questo grumo di sensazioni.
Pareschi ama molto Čechov, e si sente: difficile che nei suoi racconti ci sia una parola di troppo. In “Inverness” ci sono otto storie molto diverse, accomunate da una caratteristica: l’autrice coglie ogni volta un attimo preciso in cui qualcosa cambia, o si rivela. L’attimo, elemento tipicamente impressionista, diventa il cuore di ogni storia della raccolta, dove si mescolano fuoco e gelo.
© Riproduzione riservata




