“Ai giorni nostri, la parte peggiore del lavoro è ciò che capita alla gente quando smette di lavorare”. È tutta in questa frase dello scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton la parabola dei dati ISTAT sull’occupazione nel nostro Paese. E sì, perché se da una parte l’Istituto di statistica nazionale conferma il trend positivo sull’occupazione, dall’altra, a leggere bene le cifre, circa nove lavoratori su dieci firmano contratti sotto i sei mesi di durata. Insomma l’occupazione c’è, ma non si vede.

Proprio come quelle comparse nei colossal hollywoodiani. Contratti lampo che durano anche solo un giorno. Colpa dell’uso disinvolto del concetto di flessibilità che allarga la forbice del precariato. E con la crisi post pandemica e quella geopolitica in corso l’incubo di chi è in attesa di trovare lavoro diventa un limbo preoccupante almeno quanto le paventate atomiche di Putin. Secondo i dati Istat c’è un aumento (+133 mila) di lavoratori a termine che raggiungono il numero complessivo di 3 milioni 175 mila, la quota più alta dal 1977. La crescita su base mensile è quindi prevalentemente di lavoratori indipendenti (+56 mila) di cui però non conosciamo ancora le caratteristiche; così come non conosciamo la quota di part time di tutti questi nuovi occupati. Quindi, per dirla in un titolo: il lavoro c’è, ma è solo precario.

Per questo la sfida prioritaria per l’Italia è la stabilità lavorativa. Non è utopia. Non sono chiacchiere. In Europa il governo socialista di Pedro Sanchez ha già messo mano al problema. Ed è positivo che il nostro ministro del lavoro guardi all’esperienza spagnola con interesse. Una ricetta semplice ma efficace. Che nel giro di un anno ha già potenziato i contratti a tempo indeterminato. E le analogie tra il nostro Paese e la Spagna offrono il terreno per un sistema che può essere importato anche in Italia. Una riforma, è bene dirlo forte, che si traduce anche in una dinamica di recupero dei diritti dei lavoratori e non in una progressiva loro limitazione. E che si basa essenzialmente sull’eliminazione dei cosiddetti contratti a termine “per opere e servizi”, che anche in Italia sono abusati.

Certo ci vuole coraggio e ci vuole anche la giusta determinazione per ragionare con le parti sociali e con quelle confindustriali. La nostra maggioranza politica non è la loro. In Italia la conflittualità, anche strumentale, su questioni che ridisegnerebbero il volto del Paese è enorme. E si acuisce in vista delle prossime politiche. Così, per evitare di perdere un altro treno necessario a rendere più moderno il Paese, occorre che il centrosinistra unito si attivi senza infingimenti. Noi ci siamo. Ci siamo per garantire all’Italia di uscire dal girone dantesco del precariato che risucchia i consumi – già messi a dura prova dal rialzo dei costi dell’energia – e indebolisce la spesa. Sicuramente un intervento del genere consentirà al nostro Paese di affrontare l’incerto orizzonte economico, già minato dagli effetti della pandemia e della crisi economica che seguirà alla guerra in Ucraina, con uno strumento legislativo di ampio respiro.