L'intervista
La battaglia di Mare Libero a Napoli, Nasti: “L’unica chiave è applicare la legge, Comune spende soldi per cause perse”
Negli ultimi anni, c’è praticamente una sola realtà che ha tenuto alta l’attenzione sul tema degli accessi al litorale per tutti: “Mare Libero Napoli”. Un collettivo che riunisce diverse realtà che si battono per i beni comuni in città e che si caratterizza per azioni di protesta alquanto spettacolari, di cui ci ha raccontato Rosario Nasti, storico attivista partenopeo e componente del comitato.
Perché nasce “Mare Libero”?
Ricorderete durante il Covid le varie restrizioni degli spazi per i cittadini, mare compreso, per necessità sanitarie. In quel periodo vi è stata una compressione di quanto sancito dall’art. 32 della Costituzione, ossia la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Un argomento un po’ lontano nel tempo…
Tuttavia non per questo meno importante, attualizzato da una sentenza della Corte di Cassazione del 1962, che a sua volta ha fatto da base per sentenze come quella del TAR Calabria del 2012, o quelle più recenti del TAR Campania contro l’accesso a numero chiuso imposto dal Comune di Napoli.
Una vittoria del vostro comitato.
Chiariamo una cosa: noi non nasciamo per contrapporci a qualcuno o a qualcosa. L’idea di “Mare Libero” è solo rivendicare il diritto di libero accesso al mare verso le istituzioni, non verso soggetti terzi come i gestori dei lidi. A dirla tutta, non ci fa piacere che un’amministrazione come il Comune spenda soldi pubblici per cause e avvocati, che poi puntualmente perde. Basterebbe applicare la legge e consentire l’accesso equo e non discriminatorio alla risorsa mare secondo quanto sancito dall’art. 11 della legge n. 217 del 2011, con la quale l’Italia dovrebbe adeguarsi alle normative comunitarie sulle concessioni balneari.
Sono però forti le immagini di questi giorni, con le spiagge prese d’assalto.
E’ una polemica strumentale. Appare chiaro che con la concentrazione di cittadini che c’è, se apri un fazzoletto di spiaggia questo si riempie subito. Il tema è rendere fruibili più spazi, come la spiaggia della Gaiola o altre, magari chiuse per pericolo frane e mai più riaperte. C’è poi un altro aspetto in questa vicenda…
Prego.
Secondo la convenzione con il Comune, chi dovrebbe incaricarsi della pulizia delle spiagge libere sono i lidi concessionari adiacenti perché l’accesso a tali spiagge è attraverso le loro strutture. Ciò ovviamente non avviene, con il retropensiero di spingere sempre più clientela verso i loro ben curati lidi al contrario di una zona non attrezzata che invece versa nel degrado.
Che soluzione c’è a questo problema?
In primis, attrezzare il litorale con cestini come in tutti i paesi del mondo. Poi, destinare i lavoratori socialmente utili o ex percettori del reddito di cittadinanza, fra l’altro spesso già formati per tali incarichi, alla manutenzione delle spiagge libere.
Qual è oggi il vostro rapporto con l’amministrazione?
Abbiamo sottoposto diversi progetti e proposte con spirito propositivo al Comune, ma senza successo. Il tutto nonostante collaboriamo con il DIARC, il dipartimento di Architettura dell’Università Federico II, e progetti europei come P-SU-GO per pratiche sostenibili in ambito urbano, oltre ad aver promosso una mappatura di tutti i beni comuni presenti a Napoli.
Che effetti ha avuto il turismo sul tema mare?
Sta trasformando il litorale, allontanando gli abitanti dalla linea costiera per destinarla non a chi vive, ma esclusivamente a chi vi transita – quindi i turisti. In questo senso, l’amministrazione non sta facendo nulla per contrastare un fenomeno che rischia di influire sull’antropologia stessa della città.
Quali sono i prossimi passi del comitato?
Le nostre proteste sono improvvise, ed hanno sempre un approccio giocoso, canzonatorio perché, ribadisco, non c’è alcuno spirito di contrapposizione. Solo quello di andare liberamente a mare.
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