La campagna contro la leader di Fratelli d'Italia
La caccia di Repubblica a Giorgia Meloni è una porcata: fatti del 2013 per cui non è mai stata sentita
Male non fare, paura non avere: lo diceva sempre la zia suora a Silvio Berlusconi, e lui le credeva. Chissà se anche Matteo Renzi, Matteo Salvini e buon’ultima Giorgia Meloni hanno avuto una parente così pia e così saggia. E soprattutto se, pur essendo politici navigati e pur avendo alle spalle l’esperienza del tritacarne mediatico-giudiziario del leader di Forza Italia, hanno creduto alla favoletta, hanno fatto i bravi bambini, sicuri del fatto che a loro non sarebbe capitato.
Oggi tocca a Giorgia. Inutile andare a caccia del perché proprio in questo momento e perché proprio a lei, basta aver letto il libro di Sallusti e Palamara. Ma sarebbe anche bastato, se Giorgia Meloni non provenisse da una scuola politica che non solo è intrisa di moralismo ma che ama anche andare sottobraccio ai pubblici ministeri, aver letto con occhio diverso le cronache giudiziarie italiane a partire da quelle sul terrorismo, per passare ai processi di mafia e alle inchieste di tangentopoli. Sarebbe bastato per capire che l’Italia non è un Paese normale, dal punto di vista dell’amministrazione della giustizia. Va detto subito che la “porcata”, di cui, guarda caso, si è resa protagonista la Repubblica, nei confronti di Giorgia Meloni è piuttosto pesante, visto che si parla di fatti del 2013 su cui la leader di Fratelli d’Italia non è stata mai neanche sentita da alcun magistrato.
È una storiella che potremmo definire persino ridicola, se non fosse per il fatto che viene definita “di mafia”, una mafietta di provincia nella zona di Latina, in cui si mescolano piccole storie di droga, denunce di voti comprati e di manifesti fatti attaccare da ragazzini rom. L’impressione è che vicende di piccolissimo cabotaggio siano state riverniciate con due mani di biacca, la patente di mafiosità ( destinata a cadere al processo) e il nome altisonante di un segretario di partito. C’è l’inchiesta che si chiama “Reset”, nome pretenzioso che pare creato da Gratteri, c’è il pentito di periferia che è stato ritenuto credibile in un precedente processetto, c’è la Dda e c’è il cronista. Nella redazione romana di Repubblica il giornalista scrive tre pezzi nella stessa giornata: uno per spiegare che il pentito ha “tirato in ballo” Giorgia Meloni, in quanto un suo segretario avrebbe ficcato 35.000 euro in un sacchetto del pane (ricordate il sacchetto di mele di Ottaviano Del Turco?) per pagare voti comprati e l’affissione di manifesti elettorali alle elezioni politiche del 2013.
Una prima domanda si pone: che cosa vuol dire “tirare in ballo”? Giorgia Meloni è accusata di qualche reato? Se è invece testimone, perché nessun magistrato l’ha mai voluta sentire? Piacerebbe all’astuto giornalista che un giorno qualcuno lo “tirasse in ballo”? C’è poi come pezza d’appoggio un secondo articolo in cui si mette il sigillo sulla credibilità del “pentito” e infine un altro servizio per chiamare in causa anche la Lega e Forza Italia. Centrodestra al completo. Piccola ingenuità politica del giovane cronista. De minimis… Ho definito “porcata” quel che è stato fatto a Giorgia Meloni per sottolinearne la volgarità. Ma è meglio non cascare nella trappola del cercare l’ora cui è stato puntato il timer. Ormai è sempre così, l’Italia politico-mediatico-giudiziaria è fatta così. Se ne faccia una ragione anche Giorgia Meloni. Che non è mai stata particolarmente forcaiola, ma neanche garantista.
Diciamo che forse non si era mai concretamente posta il problema fino a che non è capitato a lei. Ripeto: fino a che non è capitato a lei. Ma prima, come si era comportato il suo partito (e gli antenati di Fratelli d’Italia) nei confronti di chi era incappato in vicende giudiziarie? La domanda è retorica: non si è comportato proprio con molta attenzione alle garanzie e ai diritti. A volte pare che certi politici italiani siano un po’ come i ragazzi che il sabato si accalcano festosi e senza mascherina sui Navigli di Milano, pensando di essere immuni al virus. Non può capitare a loro. E non sanno che quando torneranno a casa potrebbero uccidere il nonno. Consolati, Giorgia, sei in ottima compagnia. Il tuo collega senatore Matteo Renzi, quello che contribuì a far cacciare Berlusconi dal Senato, continua a pagare il sibilo (“Brr che paura”) che uscì dalle sue labbra quando, da presidente del consiglio, pensò di asciugare le abbondanti ferie dei magistrati. Genitori arrestati, fondazione Open messa sottosopra. Il killer in azione. Il killer non è una singola persona, è il Sistema, è il Combinato Disposto.
È poi toccato a Matteo Salvini, che non si è ancora pentito dello slogan “chiudere la cella e buttare via la chiave”. Non ancora, verrà il momento. Il segretario della Lega è attaccato su due fronti. Quello “nobile”, quasi eroico, che lo vede processato per la sua attività sull’immigrazione da ministro dell’interno. Teoricamente rischia una condanna che sarebbe piuttosto impopolare, oltre che immeritata e ingiusta. Ma non è su quel lato che si sta muovendo il killer. Che sta ronzando intorno “all’odore dei soldi”: i 47 milioni, i presunti affari dell’hotel Metropole di Mosca, la vendita di un capannone nel milanese, qualche arresto di uomini vicini al leader. C’è di che essere preoccupati. A questo punto ci vorrebbe il predicozzo. Ma Giorgia, come i suoi colleghi bi-Matteo, è una ragazza di particolare intelligenza e capacità. Si limiti a guardarsi allo specchio. Male non fare: ok. Paura non avere: sicura?
© Riproduzione riservata







