Finalmente anche per l’avvocato Francesco Stilo, come già per il suo collega Giancarlo Pittelli, si è mossa la corte di cassazione, che ha annullato con rinvio l’ultimo provvedimento del tribunale di Catanzaro che lo manteneva agli arresti. Rivalutate, ha detto, se non sia il caso di restituirgli la libertà. Cose da non credere, ma la magistratura calabrese, ben allineata con il pensiero del procuratore Nicola Gratteri, sta mantenendo il legale ancora ai domiciliari dopo tre anni e mezzo dal famoso blitz del 19 dicembre del 2019, che ha dato origine al processo “rinascita Scott” con circa 350 imputati.
Da due anni, dal gennaio dl 2021 nell’aula-bunker di Lamezia, quella che avrebbe dovuto dare al dottor Gratteri lustro e gloria fino a farlo ricordare ai posteri come il Falcone di Calabria, si sta celebrando un processo che consiste soprattutto in una sfilata di “pentiti”. Crollata miseramente ormai l’ipotesi politica di un maxiprocesso che dovrebbe sconfiggere la saldatura tra ndrangheta e “zona grigia” di politici, imprenditori, uomini dello Stato e massoneria. Resta sollo il radicato convincimento di una parte della magistratura che qualunque avvocato nelle regioni del sud assuma la difesa di persone accusate di delitti legati alle cosche mafiose, sia complice del proprio assistito. E l’imputazione impalpabile del reato che non c’è, il famoso concorso esterno, è sempre fondata sulla comunicazione tra avvocati e assistiti.
Che cosa si imputa all’avvocato Francesco Stilo? Il fatto di aver “oltrepassato i limiti del corretto esercizio della professione”, di essere uno “disposto a tutto”, insomma. Cioè di aver tenuto conto, nell’elaborazione della linea difensiva con il proprio cliente, anche delle deposizioni dei “pentiti”. Cioè di quelle dichiarazioni che spesso sono a disposizione di chiunque, visto che dilagano nelle pagine dei giornali, diffuse in violazione del segreto investigativo, chissà da chi. Ma è un chiodo fisso. Si rimproverano al legale le “cattive frequentazioni” di persone che vanno e vengono dal suo studio, come se un penalista che opera in Calabria, piuttosto che in Sicilia, dovesse incontrare solo oxfordiani colti e ben vestiti. Si accusa il legale di aver svolto il ruolo di “ponte” tra i suoi assistiti carcerati e quelli ancora liberi. E persino di aver intimidito alcuni testimoni. Il tutto naturalmente senza prove, solo qualche chiacchiera tra malavitosi rilevata con le intercettazioni.
Ma c’è un altro problema. Sono passati tre anni e mezzo dagli arresti e due dall’inizio del processo. Francesco Stilo ha trascorso un anno in diversi istituti di pena nei momenti peggiori in cui imperversava l’epidemia da coronavirus, rischiando la vita, a causa delle sue precarie condizioni di salute, che purtroppo sono peggiorate per l’insorgere di una grave forma di leucemia. Che si è aggiunta a una seria deformazione dell’aorta, all’ipertensione, alla perdita di quaranta chili, a un quadro psichico che ha alle spalle due tentativi di suicidio. Nel frattempo anche le carte processuali non sono più le stesse. Tanto che gli uomini della Dda di Catanzaro paiono costretti a una sorta di gioco dell’oca. Ogni volta che sorge il sospetto anche di una piccola incrinatura nella montagna di accuse che costituiscono la sostanza dell’accusa, ecco spuntare all’orizzonte un nuovo “pentito”, o uno antico cui viene rinfrescata la memoria. E nuovi faldoni entrano nell’aula, alla faccia del processo “tendenzialmente” accusatorio, quello in cui la prova dovrebbe formarsi, nella dialettica tra le parti, nel corso del dibattimento.
Così a Lametia è capitato che il 15 aprile scorso una massa enorme di nuove carte sia stata depositata da parte dell’accusa. E da oggi le difese degli imputati inizieranno le controdeduzioni. Si prevede così che agli inizi di maggio inizieranno le requisitorie dei pm. Una passeggiata, con circa 350 imputati! Ma l’importante è che ci si renda conto che la fotografia del primo giorno, quella del primo gallo che ha cantato, quella che ha prodotto gli arresti, può essere cambiata. E’ il caso dell’avvocato Francesco Stilo. Nei suoi confronti, per esempio, come rilevato nel ricorso dei suoi difensori, tra cui la sorella Paola Stilo, il “pentito” Andrea Mantella ha limitato le accuse agli anni precedenti il 2012.
Un altro collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato, ha detto in aula di non conoscere “alcun fatto illecito commesso da Francesco Stilo”, e un altro ancora ha escluso tassativamente che il legale abbia mai minacciato testimoni. La Corte di cassazione ne ha tenuto conto e ha chiesto che il tribunale di Catanzaro rivaluti se davvero esistano ancora esigenze cautelari che impediscono il ritorno del legale alla libertà. Ne terranno conto i magistrati al processo? Oppure siamo ancora fermi con l’orologio bloccato al 19 dicembre 2019?
