Il primo ministro indiano Narendra Modi è stato accolto a Washington nella maniera più calorosa possibile. Ricevimento alla Casa Bianca, cene, incontri di altissimo livello. Un continuo tappeto rosso che conferma una sfida che da tempo caratterizza la politica estera degli Stati Uniti: riuscire a strappare il gigante asiatico dalla sua tradizionale politica di non allineamento per spostarne il baricentro verso il blocco “occidentale”.

Partita difficile, su cui gli analisti si dividono tra chi la ritiene un azzardo o una missione impossibile e chi, in maniera più ottimistica, la considera un obiettivo fondamentale e raggiungibile anche nel breve termine. Joe Biden, come del resto i suoi predecessori, rientra in questo secondo blocco. E nonostante gli ostacoli sul cammino dell’allineamento tra Nuova Delhi e Washington, il presidente Usa cerca di portare avanti la sua agenda indiana per raggiungere due distinti obiettivi: sganciare il Paese asiatico dai rapporti con la Russia e provare a sfruttare l’ascesa della potenza indiana in chiave di contenimento cinese.

Sul fronte dei rapporti con Mosca, la sfida appare difficile, perché si gioca nei campi dell’industria militare e dell’energia. Sotto il primo aspetto, gli Stati Uniti sono da tempo impegnati affinché l’India diversifichi le forniture belliche. Con accordi sulla tecnologia e con deroghe ad alcune sanzioni internazionali, Washington ha cercato di sostenere l’industria militare indiana, e l’incontro tra Modi e Biden è servito anche per blindare la partnership con gli Usa in questo settore. Tuttavia, come dimostrano gli ultimi dati dello Stockholm International Peace Research Institute, il 45 per cento delle importazioni indiane nel settore delle armi è ancora di origine russa. E questo nonostante si assista da almeno cinque anni a un calo di questa quota di mercato che un tempo superava il 60 per cento. Anche sul lato energetico, la questione appare complessa e costituisce uno dei grandi motivi per cui l’India, pur condannando l’invasione dell’Ucraina, ha evitato di intraprendere la strada dell’intransigenza verso il Cremlino.

In questi ultimi giorni, parlando del tema del conflitto e della posizione riguardo una possibile via d’uscita, Modi ha detto in modo sibillino: “Non siamo neutrali. Siamo dalla parte della pace”. Parole che confermano la linea diplomatica indiana, tendenzialmente poco incline a schierarsi in modo netto anche a scapito di un raffreddamento dei rapporti con gli Stati Uniti. Del resto, dall’inizio della guerra in Ucraina Nuova Delhi non ha fatto che cementare gli scambi energetici con Mosca e li ha anche ampliati, complici proprio le sanzioni da parte dei clienti europei. I numeri del 2023 hanno evidenziato il continuo aumento delle importazioni di petrolio russo in India sia nel corso dell’anno che rispetto al 2022, e alcune aziende sono state accusate di raffinare e rivendere l’oro nero di Mosca nel mondo, di fatto andando a diminuire l’efficacia delle sanzioni internazionali.

Diverso il discorso per quello che riguarda il rapporto tra Cina e India. L’interesse di Modi, in questa fase, è certamente quello di sfruttare il sostegno statunitense per ergersi a potenza dell’Indo-Pacifico frenando l’ascesa di Pechino. Gli interessi di Washington e Nuova Delhi sembrano dunque convergere, e lo dimostra anche l’adesione dell’India all’alleanza Quad promossa dagli Usa, che unisce i due Paesi insieme ad Australia e Giappone. Anche in questo, alcuni analisti ritengono però che sia eccessivamente pretenzioso sperare che Modi volti completamente alle spalle a Pechino scommettendo sull’alleanza con gli Stati Uniti.

I rapporti con Xi Jinping non sono certo amichevoli, e le dispute di confine unite alla sfida per la supremazia del continente e in alcuni specifici settori certificano la concorrenza tra l’Elefante e il Dragone. Tuttavia, alcuni osservatori segnalano un problema: è difficile limitare la politica di un Paese come l’India nella scelta di campo tra Cina e Usa.