Un discorso che è stato un insegnamento per tutti noi e per il Paese. Le parole della senatrice Liliana Segre hanno riaffermato il valore della politica. C’è un passaggio cruciale, oltre a quello simbolico di essere stata proprio lei a pronunciarlo, al Senato, nel centenario della marcia su Roma, ed è quando la senatrice Segre spiega: “Potremmo anche concederci il piacere di lasciare fuori da questa assemblea la politica urlata, che tanto ha contribuito a far crescere la disaffezione dal voto, interpretando invece una politica “alta” e nobile, che senza nulla togliere alla fermezza dei diversi convincimenti, dia prova di rispetto per gli avversari, si apra sinceramente all’ascolto, si esprima con gentilezza, perfino con mitezza”.
È tutta in questa affermazione la parabola che la politica ha smarrito in questi anni e che invece bisogna ritrovare, non solo attraverso gesti di facciata, ma concretamente. Un discorso di altissimo profilo che non solo ribadisce con fermezza che siamo un’Italia antifascista, ma che invita il centrodestra a quella pacificazione indispensabile per governare i processi democratici che contribuiranno a rende il Paese un posto migliore. Ribadendo che le istituzioni “non sono proprietà di nessuno” e che le democrazie sono tali se, “al di sopra delle divisioni partitiche e dell’esercizio dei diversi ruoli, sanno ritrovarsi unite in un nucleo essenziale di valori condivisi, di istituzioni rispettate, di emblemi riconosciuti”. A queste parole noi sappiamo già di saper dare continuità, di custodirle come punto di riferimento nella costruzione del nostro percorso di opposizione. Perché noi Socialisti siamo figli di quel Giacomo Matteotti, che la senatrice cita facendo partire dalla sua denuncia e dal suo assassinio, il lungo e faticoso cammino per arrivare all’oggi.
Ma soprattutto le parole della senatrice Segre toccano ognuno di noi quando auspica un “impegno straordinario e urgentissimo per rispondere al grido di dolore che giunge da tante famiglie e da tante imprese”. Ecco, è da questo che la nostra azione politica deve riprendere il suo cammino. Noi, che in quel “grido di dolore” riconosciamo il nostro fare politica, il nostro essere socialisti prima ancora che donne e uomini impegnati a ridurre le diseguaglianze, terremo bene in mente queste parole; pronti a mettere in mora questo governo ogni qual volta quel “grido” sarà sottaciuto, ignorato, vilipeso, calpestato. Un impegno, questo, che rivolgo a me stesso, alle donne e agli uomini che animano il Partito socialista, prima ancora che ai compagni dell’opposizione. Che già al voto per eleggere il presidente del Senato hanno dato prova di essere “stampella” del centrodestra. Una prova non certo edificante, se la moneta di scambio è quella di qualche rappresentanza di governo. Un comportamento che ancor prima di iniziare, già disattende le attese di chi li ha eletti a rappresentati del Paese.