Una ventina di giorni fa, quando l’attenzione era tutta rivolta al successivo gran premio della Malesia, Francesco Bagnaia s’era lasciato andare a un’affermazione pubblica – “Sarebbe fantastico vincere perché non ricordo molti nomi che abbiano vinto il titolo per due anni di seguito”, disse – che a molti era sembrata quasi una giustificazione non richiesta. Si usciva dalla vittoria di Jorge Martin in Thailandia e, benché Pecco fosse comunque in testa al Mondiale, iniziava a serpeggiare la sensazione che lo spagnolo fosse pronto per lanciare un tiro mancino al campione del mondo 2022.
Alla conclusione della MotoGp mancavano tre gare soltanto e, visto lo slancio con cui Martin aveva vinto proprio davanti a Bagnaia, il timore che il sogno del bis iridato potesse interrompersi sul più bello c’era, eccome se c’era. Ciò che è avvenuto tra Malesia, Qatar e, domenica scorsa, Valencia ha per fortuna detto tutto il contrario, con l’italiano sempre a podio (in stretto ordine cronologico, un terzo, un secondo e un primo posto) e il suo avversario madrileno rimesso al giusto posto, alle sue spalle, con buona pace di coloro che da tempo pregustavano un finale differente.

Trentanove punti di distacco tra i due, 467 per Bagnaia contro i 428 di Martin, e i colpi di scena di un lungo fine settimana, appunto l’ultimo, quello di Valencia, che ha visto il primo trionfare davanti a tutti e il secondo tanto smanioso di rubargli la scena da perdere lucidità nei momenti clou. E dire che la Sprint Race s’era risolta proprio in favore del secondo, abile a rosicchiare al pilota di Torino qualche punticino così da presentarsi sulla griglia di partenza a -14 dalla vetta. Chi tra i due avesse più pressione addosso in quel momento è difficile a dirsi. Di certo, per un Bagnaia che non s’è mai scomposto, interpretando la sua gara col piglio di chi sapeva di partire col peso di un titolo da difendere metro per metro, fino alla fine, s’è visto un Martin che non ha retto al ruolo di guastafeste. Il pianto liberatorio una volta rientrato nel suo box è la fotografia di un pilota che nel giorno della verità ha sbagliato tanto, troppo, attaccando malamente Bagnaia (e, dunque, finendo dritto) già al terzo giro, per poi tentare il tutto per tutto e, così facendo, speronare l’incolpevole Marc Marquez tre giri dopo.

Da quel momento in poi, per Pecco s’è aperta per la seconda volta nella sua carriera la porta del paradiso, un uno-due riuscito nella storia del motociclismo soltanto a tredici super-campioni il cui nome fa letteralmente tremare i polsi degli appassionati. Da Giacomo Agostini a Kenny Roberts, da Eddy Lawson a Wayne Rainey, l’elenco comprende mostri sacri come Mike Doohan, Valentino Rossi e il già citato Marquez, un club davvero ristretto di numeri uno all’interno del quale il pilota della Ducati ha saputo imporsi a suon di risultati e senza eccessivo clamore, quasi con naturalezza.
L’1 che anche nel 2024 sarà stampato sulla sua moto è il primo segnale d’un sogno diventato improvvisamente realtà, quel successo arrivato davvero all’ultimo atto del Mondiale capace di far trasalire i cuori dei tifosi, emozionandoli quasi fossero loro in sella alla moto. L’immagine più bella è quella della piazza d’Armi di Chivasso, alle porte di Torino. Lì, dove Pecco è cresciuto, sono stati davvero in tanti a radunarsi davanti al maxischermo per vivere assieme, in una sorta di rito collettivo, l’ultimo gran premio dell’anno.

Bandiere, cappellini, magliette e giacche, una marea rossa che è rimasta lì, col fiato sospeso, fintanto che la matematica non ha assegnato al suo beniamino il risultato pieno, quello che consente di iscrivere il nome sull’albo d’oro e, al contempo, di far partire la festa. A nemmeno 27 anni, il titolo della Moto2 del 2018 e i due in MotoGp sono un bottino da custodire gelosamente e, ancor più, da incrementare.
Farlo non sarà facile. In fondo, e attualizzando le sue stesse parole di qualche settimana fa, non sono in molti ad averlo fatto per tre anni di seguito.