Il parroco di Casal di Principe
La storia di Don Peppe Diana, il prete ucciso dalla Camorra “per amore del mio popolo”
Era il 19 marzo del 1994 quando Don Giuseppe Diana veniva ucciso a colpi di pistola nella sagrestia della sua Chiesa di Casal di Principe. Il parroco è diventato un simbolo della lotta alla Camorra, alla criminalità organizzata. Il suo scritto: Per amore del mio popolo non tacerò ha ispirato un film per la televisione di Antonio Frazzi e con protagonista Alessandro Preziosi.
Diana aveva 36 anni. Era nato a Casal di Principe, il 5 luglio 1958, in provincia di Caserta. Figlio di Gennaro e Iolanda, agricoltori, primo di tre figli. Aveva studiato ad Aversa per poi proseguire il suo percorso in seminario a Posillipo, presso la sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Si laureò in Filosofia, entrò nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (Agesci) e venne ordinato sacerdote nel 1982. Sette anni dopo divenne nuovo parroco nella parrocchia di San Nicola di Bari a Casal di Principe. Aveva anche cominciato a insegnate in un liceo, in un istituto tecnico industriale e in un istituto alberghiero.
Tra fine anni ’80 e inizio anni ’90 cominciò il suo contrasto alla mentalità criminale. “Don Peppino non voleva fare il prete che accompagna le bare dei ragazzi soldato massacrati dicendo ‘fatevi coraggio’ alle madri in nero. A condannarlo fu ciò che aveva scritto e predicato. In chiesa, la domenica, tra le persone, in piazza, tra gli scout, durante i matrimoni. E soprattutto il documento scritto assieme ad altri sacerdoti: Per amore del mio popolo non tacerò”, ha scritto Roberto Saviano che ha dedicato un intero capitolo del suo best-seller Gomorra a Diana.
Quello scritto pubblicato il giorno di Natale del 1991 denunciava la Camorra come “una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana…(gestisce) traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato”.
Fu ucciso il 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico. Si stava preparando a celebrare la messa mattutina. Erano le 7:20. Cinque i colpi esplosi nella sua sagrestia, due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo. Il Papa Giovanni Paolo II inviò un messaggio di denuncia durante l’Angelus del giorno successivo. Al suo funerale parteciparono oltre 20mila persone. Le indagini furono oggetto di numerosi depistaggi. In molti provarono a screditare la sua immagine, anche tramite la stampa. Nunzio De Falco fu condannato all’ergastolo come mandante dell’assassinio. L’autore materiale dell’omicidio fu Giuseppe Quadrano, condannato a 14 anni. Coautori giudicati dalla Cassazione Mario Santoro e Francesco Piacenti. De Falco detto “’o Lupo” intendeva colpire il clan rivale Schiavone- Bidognetti.
Lo Stato ha conferito a Diana la medaglia d’oro al valore civile per essere stato in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, e perché, pur consapevole di esporsi a rischi mortali, non ha esitato a schierarsi nella lotta contro la camorra ed ha onorato il sacrificio della vittima, con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99.
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