Il tranello
La trappola dei pm, processare Bartolozzi per colpire Meloni: l’astuzia giudiziaria per colpire il governo da una via secondaria
Aggirando l’immunità dei ministri, la magistratura mette (indirettamente) nel mirino l’esecutivo. L’operazione chirurgica sulla capo di gabinetto del Ministero della Giustizia infuocherà gli animi
È possibile che sul caso Almasri si arrivi allo scontro istituzionale e al ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzioni tra la Camera e il tribunale. Non sarebbe la prima volta e non sarebbe un dramma. Ma sarebbe un intralcio in vista della campagna elettorale di primavera sulla separazione delle carriere. Ma trappole e inciampi da parte della magistratura vengono disseminati ogni giorno.
Siamo al doppio binario. Alla giunta per le autorizzazioni a procedere nei confronti dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano si lascia il lavoro burocratico. Tanto si sa già come andrà a finire. In nulla. Ma la vera caccia al boccone grosso, il vero processo al governo Meloni è destinato, nelle intenzioni della magistratura combattente, a celebrarsi nelle aule di tribunale. Il cavallo di Troia è l’unico soggetto laico e non coperto da immunità, Giusi Bartolozzi, braccio destro tecnico del Guardasigilli, iscritta nel registro degli indagati dalla Procura di Roma per false informazioni rese al tribunale. Ieri, nell’aula della giunta delle autorizzazioni a procedere, la prima seduta è stata dedicata alla sola relazione dell’esponente del Pd Federico Gianassi, un vero procuratore dell’accusa, che del resto non aveva mai nascosto le proprie posizioni fortemente critiche rispetto all’operato del governo sul caso Almasri. Una relazione destinata all’archiviazione. Infatti tutta l’attenzione è al secondo binario, quello su Giusi Bartolozzi. La trappola è lì.
La trappola Bartolozzi
Il trucco politico, seppur celato negli strumenti della tecnica giudiziaria, era già nascosto nelle pieghe della decisione del tribunale dei ministri. Tre giudici che avevano “assolto” Giorgia Meloni, e questo era stato il fatto più clamoroso, perché pareva teso a scindere le responsabilità nella regia dell’evento. Una decisione di tipo chirurgico, che non si era limitata ad accusare un vertice di governo del reato di favoreggiamento nei confronti del generale libico Osama Almasri. Ma che nascondeva nel seno della sentenza la vera vipera, quelle due paroline sulla deposizione della capo di gabinetto Bartolozzi, la cui ricostruzione dei fatti era considerata “una versione da ritenere sotto diversi profili inattendibile e anzi mendace”. Eccolo lì, il baco. E la contraddizione, come già sottolineato fin da ieri da diversi costituzionalisti, non appena, con la consueta abilità comunicativa, dal mondo della giustizia è arrivata la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati proprio alla vigilia della prima riunione della giunta.
L’astuzia giudiziaria…
Perché, se la dottoressa Bartolozzi faceva parte della regia che ha sottratto un criminale alla giustizia, non è coimputata dei ministri nel reato di favoreggiamento? Per un semplice motivo: perché in questo caso, secondo la legge, la sua posizione sarebbe stata attratta e quindi assorbita nell’area dell’immunità che protegge gli uomini di governo. E il tribunale dei ministri avrebbe dovuto chiedere al Parlamento di votare anche nei suoi confronti l’autorizzazione a procedere. Con il risultato ovvio di vedersi respinta la richiesta dalla maggioranza. Contestando invece un reato autonomo, quello di false informazioni, l’astuzia giudiziaria ha messo la capo di gabinetto su un altro binario, quello della giustizia ordinaria. Così il risultato politico vero sarebbe quello di processare il governo attraverso una via secondaria.
Diversi costituzionalisti, anche appartenenti all’area della sinistra, lo stanno già dicendo: il tribunale dei ministri ha sbagliato. Perché non si può sottolineare come centrale il ruolo della capo di gabinetto e poi sottrarla al concorso nel reato più grave, quello di favoreggiamento. Salvo poi usare l’espediente di aprire la porta e la strada, immediatamente imboccata dal procuratore romano Lo Voi, della contestazione del reato di false informazioni. Ovvio che sarà a questo punto la maggioranza della giunta a chiedere un’integrazione che il tribunale difficilmente potrà negare. Poi c’è la strada del ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzioni tra la Camera e il tribunale. Nel passato questi ricorsi non hanno certo favorito la politica. E nessuno augura in questo momento storico un pesante scontro istituzionale fino a quel livello. Con le conseguenze sul piano mediatico che si può immaginare.
© Riproduzione riservata







