Il Riformista incontra a margine di un briefing con la stampa la viceministra degli Esteri di Israele, Sharren Haskel. Classe 1984, Haskel viene dalle fila del partito New Hope ed è entrata in carica agli Esteri nel 2024, dopo essere stata deputata alla Knesset, giovanissima, dal 2015. Il suo partito, in ebraico Tikva Hadasha, è stato fondato nel 2020 da Gideon Sa’ar, attuale ministro degli Esteri di Tel Aviv.

«È importante per me essere qui in Italia, respirare quest’aria di dialogo e condivisione. Consideriamo l’Italia un’amica, con canali diplomatici sempre aperti», dice Haskel. Ma all’incontro alla Camera con l’intergruppo parlamentare di amicizia con Israele il M5S non c’era. Non hanno voluto mandare nessuno. La vice titolare della diplomazia israeliana è, appunto, diplomatica: «Sono stata alla Camera ma probabilmente c’erano altri impegni in quel momento che li hanno tenuti occupati». D’altronde Roma ha un ruolo centrale. Il programma umanitario “Food for Gaza”, promosso dalla Farnesina, è al centro della cooperazione bilaterale: «Siamo in costante contatto per facilitare le richieste italiane. L’Italia agisce con umanità e ascolta anche le nostre preoccupazioni».

Israele ha anche sostenuto il corridoio sanitario per curare minori palestinesi in ospedali italiani: «Abbiamo fatto tutto il possibile per aprire quei canali». Poi Haskel chiarisce le leve che hanno spinto Israele ad agire tempestivamente con l’operazione “Rising Lion”, lanciata dopo che l’intelligence israeliana ha identificato una doppia minaccia «esistenziale» proveniente da Teheran: da un lato il programma nucleare militare, dall’altro quello missilistico. «L’Iran stava accumulando materiale fissile per armi nucleari da anni. Tre mesi prima dell’operazione, aveva prodotto uranio per tre nuove bombe. Avrebbero potuto, in breve tempo, arrivare a un arsenale di nove ordigni nucleari». Le trattative tra USA e Iran, avviate anche a Roma, si sono svolte mentre Teheran mentiva: «Abbiamo prove della loro intenzione di costruire un’arma. E ci siamo trovati davanti a un regime che stupra, tortura e uccide donne per non aver indossato il velo. Ma non si ferma lì: l’Iran finanzia Hezbollah in Libano, le milizie sciite in Iraq, gli Houthi in Yemen, e gruppi terroristici in Africa come Boko Haram e Al-Shabaab. Opera anche in America Latina e in Europa».

La minaccia non è solo nucleare. «L’Iran ha aumentato la produzione di missili balistici: puntava a 300 al mese, oltre 3.600 l’anno. Ne volevano accumulare 10.000. Già oggi possono colpire l’Europa». Secondo Israele, «una potenza radicale islamista con armi di distruzione di massa è una minaccia globale. Noi siamo la prima linea, ma ogni europeo dovrebbe preoccuparsi». Viene da chiedersi perché nessuno ne parla. Perché tutto ciò che è ostile a Israele viene sistematicamente minimizzato. Il racconto della viceministra Haskel si sposta sulla brutalità del 7 ottobre: «Abbiamo prove, anche video, che non pubblichiamo per rispetto. Un combattente Hamas ha filmato con una GoPro mentre mangiava il cuore di un uomo. Abbiamo raccolto testimonianze di stupri, mutilazioni, torture. Donne violentate davanti ai figli, seni tagliati, uomini evirati. Questo è stato il 7 ottobre». Oggi sul tavolo c’è un accordo di cessate il fuoco. «Israele ha detto sì. Hamas ha rifiutato. Anche l’ultima proposta, più vicina alle richieste di Hamas, è stata rigettata. Noi vogliamo riportare a casa i nostri ostaggi, che da mesi sono sottoposti a torture indicibili».

Israele accusa Hamas di sabotare la distribuzione di aiuti: «Oppongono il meccanismo americano della Gaza Humanitarian Foundation, perché non riescono più a controllarlo. E perdere il controllo sugli aiuti significa perdere il potere». Durante l’ultima tregua, afferma la fonte, «Hamas ha pagato il 100% degli stipendi per la prima volta da mesi, grazie agli aiuti umanitari. Con quei soldi hanno anche reclutato nuovi terroristi e ricominciato a combattere». Il gruppo avrebbe persino messo taglie sui cooperanti: «Cinque operatori locali uccisi, due americani feriti questa settimana. Ma continuiamo, perché la popolazione ha bisogno di mangiare». Sullo scenario postbellico, Israele è in dialogo con alcuni Paesi arabi: «Tutti concordano che Hamas non potrà avere alcun ruolo né civile né militare. È un culto della morte, non un governo». Tra le ipotesi, un consiglio arabo internazionale per la ricostruzione, con il coinvolgimento anche degli USA. Ma la sicurezza resterà per ora nelle mani di Israele: «Dobbiamo impedire che Hamas o altri gruppi si riorganizzino».

La tensione nei Territori resta alta. «Ci sono state operazioni a Jenin, Ramallah, Nablus. Gli scontri maggiori avvengono nei campi gestiti dall’UNRWA, terreno fertile per le milizie armate. Anche l’Autorità Palestinese ha dovuto vietare Al-Jazeera per istigazione. Riguardo ai coloni, se qualcuno ha compiuto atti violenti sarà processato: in Israele vige la legge, e vale per tutti, ebrei o arabi». Sull’efficacia del raid congiunto USA-Israele, la stima è di «un ritardo di almeno due-tre anni del programma nucleare». Ma la vigilanza resta: «Se non sceglieranno la via diplomatica, interverremo di nuovo». Duro il commento sull’ipotesi di riconoscimento di uno Stato palestinese: «Come si può negoziare una tregua se intanto si premia Hamas affrettandosi a riconoscere, in questo scenario, uno Stato palestinese? È una contraddizione. Il 7 ottobre sarebbe la loro festa nazionale. Macron, con quelle parole, offre ossigeno a Hamas».

Infine, da Haskel una critica al movimento BDS: «Chi boicotta, rompe i ponti. Prendete SodaStream: prima dava lavoro a 500 famiglie palestinesi. A causa delle minacce, ha chiuso in Cisgiordania. Oggi dà lavoro a beduini nel Negev, ma viene boicottata comunque. È un’assurdità. La pace nasce dalla cooperazione, non dal populismo ideologico».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.