Ci sono diversità indesiderabili (deficit intellettivi, deprivazioni sociali, vuoti educativi, vulnerabilità sistemiche). Ma ci sono diversità delle quali viviamo (la nostra rete famigliare, la nostra dedizione religiosa, il nostro lavoro, il nostro ruolo, il nostro habitat). Confondere queste diversità è sbagliato, né può essere ignorata la distinzione tra quanto è svantaggioso per la vita e quanto è invece proprio della condizione umana.  Tale possibile confusione espone il discorso etico, giuridico, politico a una pericolosa astrattezza. Va favorito, pertanto, l’impegno a costruire modi di vita che non puntino all’eliminazione di ogni vulnerabilità, con l’intento immaginario di liberarci dalle nostre affezioni a vantaggio di un’organizzazione ideale delle cose, inseguendo una forma di perfezione tanto compiuta quanto illusoria.

È invece importante garantire lo spazio per il riconoscimento e l’assunzione riconciliata con la fondamentale finitudine (e imperfezione) propria dell’esistenza, celebrando al contempo la diversità degli individui, l’autonomia responsabile della volontà, la nostra capacità di apprendimento multisensoriale della realtà, ed edificando modalità di stare insieme nel reciproco riconoscimento.
Fare scelte etiche oggi significa cercare di trasformare il progresso in sviluppo. Significa indirizzare la tecnologia verso un umanesimo che sia centrato, appunto, sempre sulla dignità della persona e della intera famiglia umana.