Vaticaneide
Leone XIV, il viaggio in Turchia e Libano tra dogmi che uniscono
In un periodo buio per la storia dell’uomo, la prima missione apostolica del Papa ricorda l’importanza di Fede e Ragione non solo per i credenti
Nel suo primo viaggio apostolico Leone XIV ha attraversato luoghi in cui Fede e Ragione si confrontano con il male subito e con la speranza ostinata. Ha ricordato il primo concilio di Nicea, dove la Chiesa cercò parole comuni per dire il Mistero; ad Ankara e Istanbul ha incontrato le autorità politiche e religiose; a Beirut giovani che vivono ogni giorno l’intreccio fra fede, crisi economica e ricerca di giustizia.
Nella festa dell’Immacolata Concezione (dogma del 1854) la Chiesa pensa di nuovo la verità dentro la storia. I dogmi dell’età moderna, termine prima praticamente ignoto, dall’Immacolata all’Assunzione del 1950, passando per l’Infallibilitas del 1870, sono per il credente tentativi di custodire, in un mondo che rivendica l’individuo e la sua dignità, la dimensione spirituale senza ridurla a semplice opinione. Il Papa si avvalse peraltro della sua Infallibilitas solo nel 1950, per riconoscere la legittimità sia della tradizione occidentale, secondo cui Maria fu assunta in vita, sia di quella orientale, per la quale passò attraverso una morte beata, la Dormizione. In un unico atto, il dogma non divide, ma tiene insieme memorie diverse.
Per capire il senso di questo intreccio occorre tornare al significato stesso di verità. In greco alétheia è il “disvelato”: ciò che esce dall’oblio. Il filosofo è “colui che ama la conoscenza” e illumina ciò che altri lasciano nell’ombra; la religione pubblica antica, al contrario, tendeva a velare. Il tempio greco non conosce l’illuminazione del sole, l’idolo resta nel buio, perché il divino fa paura e ha bisogno di intermediari. La fede biblica e cristiana cambia questa scena: il Dio di Abramo non si impone, si offre alla libertà e all’interpretazione; nel Cristianesimo il logos si fa carne, l’invisibile diventa visibile, il mistero si concentra nella croce, dove potenza e fragilità coincidono. Dio diventa compassibilis nel Figlio, ma rimane impassibilis nel Padre, conservando per l’uomo uno spazio eterno in cui amare sia un dono di sé senza dolore.
Per questo per il Vangelo di Giovanni il Figlio non ha “mostrato”, ma “interpretato” (exēgēsato) il Padre. La Fede, per simboli, la Ragione, per concetti, cercano entrambe di rendere pensabile l’invisibile. La ragione pura, senza etica, diventa tecnica; la fede senza ragione, schiavitù. Le salva entrambe la libertà. L’uomo è animale sociale (Aristotele), metafisico (Schopenhauer) e simbolico (Cassires): in questa triplice dimensione può nascere un dialogo vero tra credenti e non credenti.
La modernità, da Galileo in poi, ha costretto la fede a maturare, riconoscendo che Dio ha dato all’uomo due libri, la Natura e la Scrittura. L’esegesi più avanzata ha ribadito che la Bibbia è linguaggio della speranza, e non manuale di cosmologia. Dostoevskij, con Ivan Karamazov, ha rifiutato ogni armonia futura che giustifichi il dolore innocente e Dorothee Sölle ha chiamato “sadismo teologico” ogni frettolosa teodicea. Eppure la nostalgia di un mondo giusto, che condividono credenti e non credenti, rimane la forma più universale di fede. Sui confini feriti del Mediterraneo il viaggio di Leone XIV e la festa dell’Immacolata ricordano che questa nostalgia non è un lusso, ma una forza morale. Nella notte lunga della storia non sappiamo se e quando verrà l’alba; ma possiamo tenere accesa una piccola candela: la Fede è l’attesa – attiva – del giorno, la Ragione il coraggio di continuare a illuminare il mondo.
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