Il destino dell'esercito
L’esercito Zahal non può essere sconfitto senza che Israele sparisca
La società di Israele è da tempo traumatizzata da una guerra politica che l’ha decomposta. E anche la potente macchina della sicurezza si è inceppata
“Sfondavano con i fucili la porta della cucina e abbiamo chiamato subito le Forze di difesa israeliane: correte, ci stanno sparando. Ma non è arrivato nessuno. Io sono il solo sopravvissuto”. Questo uno dei tanti racconti tutti uguali. Zahal non ha mai abbandonato il suo popolo e poi ha perso il contatto ed è stata la catastrofe. Zahal è il nome ebraico dell’Israel Defense Forces, l’esercito più popolare del mondo perché a turno tutti, uomini e donne, devono indossare la disadorna uniforme di Zahal, la madre della sicurezza e della protezione civile, soccorso medico e antiterrorista perché fino a sabato scorso quando un israeliano aveva un’emergenza, chiamava Zahal. Dall’ultimo Shabbat, Zahal non risponde alla società che si sentiva protetta.
Sabato e domenica Zahal era introvabile perché i suoi uomini e le sue donne erano impegnati a morire, sbalorditi e paralizzati, a centinaia. Israele prima della guerra era una piccola America dove fioriscono le start-up, dove si balla e si fa l’amore quando è festa ed è la meta non solo dei viaggi della memoria, ma di chiunque cerchi pace nella sicurezza. La sicurezza è morta perché l’esercito è stato finora il collante della società. Oggi la società israeliana è frantumata dall’odio politico, più o meno come quella americana. L’esercito è sempre stato composto in prevalenza di studenti, giovani “farmer” dei kibbuz, imprenditori e madri di famiglia, senza mai aver avuto, neanche durante le guerre, un carattere né una retorica militare: combattere è stata sempre una infelice necessità, una maledizione fin dal primo giorno avendo di fronte un nemico che può permettersi di perdere, mentre Zahal non può essere sconfitto senza che Israele sparisca.
Quando giri per le strade di Israele trovi sempre ragazzi e ragazze con lo zaino e tutti i materiali legati alle cinture e impari subito che si attendono che tu ti fermi: perché tu sei il loro autobus e loro salgono come se fossero parenti o figli dei tuoi amici. Spesso lo sono. Il mio primo incontro con quei soldati risale a quaranta anni fa quando sulla Bekaa che sovrasta Beirut incontrai di notte un carro armato Merkava (dal nome biblico del carro di fuoco del profeta Ezechiele) con il suo equipaggio di ragazzi e ragazze con chitarre e lampade che si comportavano come liceali in vacanza. Ma erano soldati in guerra. M’invitarono e parlammo di cinema. Poi gracchiò una radio e in un minuto si infilarono nel carro che partì con il rumore di un vecchio camion.
La società di Israele è da tempo traumatizzata da una guerra politica che l’ha decomposta. E anche la potente macchina della sicurezza si è inceppata. Gli ebrei figli dell’occidente sono in conflitto con gli ebrei religiosi ortodossi e intolleranti nei confronti della modernità. I partiti religiosi crescono e sono determinanti in Parlamento mettendo in crisi gli equilibri costituzionali: se Bibi Netanyahu vuole sopravvivere deve entrare in conflitto con le correnti occidentalizzanti, molto legate agli Stati Uniti.
Le donne, sia ebree che palestinesi, sono molto biasimate se non mettono al mondo tutti i figli che potrebbero. Presto gli israeliani palestinesi supereranno di gran numero quelli ebrei. Gli israeliani palestinesi sono esentati dal servizio militare tranne i Drusi. La minoranza musulmana palestinese di Israele gode di pieni diritti civili e vive nell’unico Stato arabo in cui possono lottare politicamente ed essere eletti come deputati nella Knesset: sono israeliani e hanno diritto di odiare Israele, in quanto figli di quelli che non obbedirono all’ordine di abbandonare lo Stato ebraico nel 1948 quando l’Onu votò a grande maggioranza la nascita di due Stati vicini e fratelli, uno ebraico e uno palestinese.
La Lega araba non voleva uno Stato palestinese perché non voleva uno Stato ebraico. Zahal allora non esisteva: le foto del 1948 mostrano combattenti in pantaloni corti che sparavano con le armi strappate ai nazisti durante la rivolta del ghetto di Varsavia, prima di entrare nella piccola forza clandestina Haganah. Con la guerra dei Sei Giorni del 1967 gli ebrei si sentirono forti quanto basta per essere rispettati. Oggi la memoria di quel passato è archiviata e Zahal deve ricostruirsi per combattere in un modo adatto alle cosiddette guerre asimmetriche, dicendo addio all’utopia socialista dei kibbutz in cui tutto era di tutti, figli compresi.
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