Letta si iscrive al partito dei pm, ma non tutto il Pd lo segue

Il sole sulla terrazza del Nazareno picchia forte. Dentro la sala dove la Direzione Pd è andata avanti cinque ore, l’aria condizionata arranca, tra le porte che si aprono di continuo e le zaffate di sigaretta che entrano. Di diradare il fumo si occupa il segretario. Enrico Letta è netto, nel bene e nel male. Sì al proporzionale. No ai quesiti referendari. Sì all’alleanza con i Cinque Stelle. No alla crisi prima della scadenza naturale. La relazione viene approvata all’unanimità, con un applauso generale che i dem rivolgono a loro stessi, allo scioglimento della tensione.

Poco coraggio, sui referendum. Molta cautela, sulla strategia del “Campo largo”. D’altronde è in forza delle sfumature che il corpaccione Dem e le sue correnti possono acclamare la pax lettiana. “Enrico è stato bravo, ha accontentato tutti”, sintetizzerà uscendo dalla sala un membro della Direzione. Letta ha sminato nodi e possibili tensioni. Rinunciando a una scelta incisiva, forte, memorabile sui quesiti per la Giustizia giusta che il 12 giugno saremo chiamati a votare. Con un ‘assist’ da Dario Franceschini, che ha messo agli atti la condivisione della linea Letta. Sulla giustizia il segretario ha sì confermato la posizione annunciata alla vigilia – 5 no ai quesiti – ma nel rispetto delle scelte dei singoli. Il Pd, ha detto, “non è una caserma”. Andando così incontro a quanti si erano battuti per i Sì ai referendum. E poi la spinta sulla riforma della legge elettorale che “è fondamentale” cambiare. Una sottolineatura molto apprezzata da un platea che ha visto, qualche settimana fa, tutti i big Pd (Dario Franceschini, Lorenzo Guerini, Andrea Orlando, Nicola Zingaretti) riuniti a un seminario alla Camera per spingere la causa del proporzionale.

“Nella Direzione di febbraio Letta era stato molto più evasivo -dice un ‘proporzionalista’ dem della prima ora- stavolta invece i toni sono stati diversi. La parte più politica della relazione è stata proprio questa”. Anche l’ala ‘pacifista’ ritrova un maggiore agio nella nuova fase su cui si muovono governo e Ue con la ricerca, ora possibile, di un negoziato. «Oggi ci sono le condizioni per una pace vera grazie alle scelte difficili dei mesi scorsi», ha rimarcato il segretario. Sul capitolo alleanze nessun intervento critico sui 5 Stelle. La pattuglia dei riottosi sarebbe crescente sia per la linea Conte sulla questione Ucraina sia per certe uscite dal leader M5S. «Non abbiamo sottoscritto alcun documento che ci vincola in un’alleanza con il Pd», le parole di Conte. Ma la questione non è stata affrontata pubblicamente. Anche per l’imminenza del voto amministrativo dove i pentastellati sostengono quasi ovunque i candidati a sindaco del Pd. Qui il gioco di equilibrismo di Letta tocca il virtuosismo: sa di non poter contare troppo a lungo sul il Movimento che oggi c’è ma domani chissà.

Sa che è un canotto bucato, si tratta di attraversare il guado tenendo insieme i pezzi. E sa di dover tenere più vicino Di Maio, che nella peggiore delle ipotesi sarebbe pronto a unirsi ai Dem già alle prossime elezioni. Ma guai a farlo trapelare. Vietato dare alibi a Conte per rompere troppo presto. È per questo che si concentrano, nel Pd, “più su quello che ci unisce che su quello che ci divide”, come dice Letta. Se in casa Dem il più proporzionalista è tradizionalmente Franceschini, la Direzione ha visto stavolta Enrico Letta pronunciarsi inequivocabilmente. La posizione del partito, consultato Giuseppe Conte, è allineata con i Cinque Stelle. E in onore del Movimento viene anche stabilita – ma a matita, non messa a verbale – la soglia di sbarramento del cinque per cento. Con il cronista che chiede se una soglia più bassa può essere presa in considerazione, un altro senatore scherza: “Il tre per cento che vorrebbe qualcuno non è una soglia, è una sogliola”.

Matteo Orfini, Andrea Marcucci, Luciano D’Alfonso, Salvatore Margiotta, Dario Stefano e last but not least, Giorgio Gori parlano della vexata quaestio dei referendum. Ma l’argomento che trancia di netto le conversazioni affiora sull’assolata terrazza panoramica del Nazareno: “Andranno a votare meno del 30% degli elettori, stare a discutere tanto del referendum è piuttosto inutile”, dice un Senatore che a conti fatti, sconsiglia d’accalorarsi oltremodo. Sul fronte della passione civile, trovi però sempre Andrea Marcucci. Al netto delle previsioni sull’affluenza. «I referendum sollevano temi che per loro natura interrogano la libertà di coscienza, non credo abbia senso dare una rigida indicazione di partito. Come garantista sottolineo che sulla carcerazione preventiva e sulla legge Severino è necessario intervenire, il mantenimento dello status quo è deleterio. Il 12 giugno è un’occasione per ribadire la centralità della giustizia, ma ricordiamoci che in ogni caso, il Parlamento dovrà sciogliere questi nodi», mette in chiaro il senatore Marcucci. «La riforma Severino è da cambiare, il nostro impegno va in questa direzione, ma alcune fattispecie sono molto gravi e verrebbero travolte dall’approvazione dei referendum», gli risponde Letta. Insomma, lo strumento proposto da Lega e Radicali non è adatto.

Di più: «Rischia di provocare più problemi che offrire soluzioni. E ricordiamoci che sono state le Regioni di centrodestra a promuovere questi quesiti», dice Letta chiudendo la porta ai Sì. Ma nessun boicottaggio. Plauso generale: «La via maestra per le riforme istituzionali su argomenti così complessi, come quello della giustizia, è quella di un intervento parlamentare perché consente di affrontare le problematiche sollevate con soluzioni di sistema, coordinate e ragionevoli. Ed evita il rischio di azioni inefficaci e controproducenti”, concorda il vicecapogruppo del Pd alla Camera Piero De Luca. Conclude Dario Franceschini, che in quella Direzione possiede un pacchetto di tessere rilevante: “Va ringraziato Letta, ha saputo tenere unito il partito in questo anno e trasmesso al paese l’idea del Pd come perno della stabilità”. Una occasione mancata, quella sui referendum, che dovrà tradursi adesso in una maggiore attività in commissione e in aula. Staremo a vedere.