L’azione introduce novità nel mondo, scrisse Hannah Arendt in una delle sue principali opere, Vita Activa. Una volta immessa l’azione nel mondo, il processo diventa non solo irreversibile; non si possono, infatti, nemmeno prevedere gli effetti che tale azione suscita negli altri elementi, con cui essa entra in contatto. Quindi, oltre ad avere il carattere dell’irreversibilità, l’azione ha anche quello – dice Arendt – dell’imprevedibilità, poiché dà origine a effetti che nessuno è in grado di controllare del tutto.

Osserviamo questa legge nei fenomeni estremi come le guerre: una volta avuto inizio, non si sa mai come finiscono perché la successione degli atti che avvengono durante il conflitto genera una serie di effetti non previsti. L’esempio più clamoroso è l’aggressione russa all’Ucraina. La leadership russa si aspettava di condurre una guerra lampo, con la caduta di Kyiv e la capitolazione dell’Ucraina nel giro di pochi giorni o, al massimo, qualche settimana. Dopo aver compiuto l’attacco del 7 ottobre, Hamas calcolava che la reazione militare israeliana non sarebbe stata di tale intensità e durata. Era certa che gli alleati regionali (Iran, Hezbollah, altri gruppi) e soprattutto la diplomazia internazionale avrebbero imposto presto un cessate il fuoco. Allo stesso modo, Israele, essendo militarmente superiore, stimava che, attraverso l’impiego di una forza militare schiacciante, avrebbe potuto smantellare rapidamente le strutture di Hamas (tunnel, comandi, depositi di armi) e spezzare la sua capacità di resistenza.

Ho fatto questa lunga premessa sull’impossibilità di controllare gli effetti che le nostre azioni scatenano perché mi è capitato di leggere, in questi giorni, il libro a cura di Salvatore Santangelo, Yog-Sothothery, edito da Castelvecchi, una raccolta di sette saggi di autori diversi che esplorano l’universo narrativo dello scrittore H. P. Lovecraft, libro che si rivela di straordinaria attualità anche perché collegato con quanto detto sopra. Quello di Lovecraft è un universo intriso di un senso di terrore incombente generato appunto da forze che l’uomo è impossibilitato a gestire dopo averle scatenate. Nel primo capitolo scritto dal curatore del libro apprendiamo che Lovecraft disprezzava profondamente il mondo reale in cui viveva, un mondo – secondo lui – sulla via della dissoluzione, dove le certezze che hanno ancorato l’uomo al suo passato, al suo bagaglio di tradizioni, si stanno rapidamente dissolvendo, generando un senso oppressivo di alienazione e sradicamento. Colpevole di tutto ciò sarebbe ovviamente l’uomo stesso, le cui azioni dissennate stanno producendo cambiamenti così radicali e repentini a cui sarà sempre più difficile adattarsi.

L’unica soluzione per l’autore, dunque, è la via di fuga nell’arte, la creazione di un universo parallelo, misterioso e disperante, dove le paure più ancestrali possano essere messe in scena e in questo modo esorcizzate. Le sue opere, animate da un senso di catastrofe incombente, rivelano una visione apocalittica che risuona come una severa critica alla società odierna e, al contempo, come una possibilità di redenzione della stessa verso un possibile nuovo cammino di luce.