Lukashenko, un folle blitz che costerà caro

«Questa ci giunge del tutto nuova», ha commentato il portavoce svizzero dopo che il governo bielorusso aveva sostenuto di aver ricevuto da Berna la notizia di una bomba a bordo del volo Ryanair, firmata da Hamas nei giorni della guerra di Gaza. Che si trattasse di una balla lo dicono tutti gli elementi: l’aereo in cui viaggiava un oppositore di Lukashenko (Roman Protasevich, ammanettato appena la polizia è salita a bordo) era partito da Atene diretto a Vilnius dove erano stati eseguiti controlli di sicurezza particolarmente accurati proprio perché il conflitto fra Hamas e Israele avrebbe potuto ispirare azioni terroristiche.

Che l’allarme bomba fosse una invenzione è sostenuto da due fatti. Il primo: l’aereo è stato circondato e impacchettato in cielo da ben ventinove caccia bielorussi che lo hanno costretto ad atterrare a Minsk. Se ci fosse stato il rischio di una esplosione, sarebbe stato suicida esporre i caccia e sarebbe stato sufficiente intimare l’atterraggio via radio. Il secondo fatto sta nella distratta flemma con cui il personale di polizia ha controllato i bagagli del volo atterrato, senza artificieri, nessuna protezione anti-bomba, giusto un’occhiata qua e una là.

Alexander Lukashenko è l’ultimo boss ex sovietico amico di Putin, il quale definisce nelle dichiarazioni ufficiali la Bielorussia un “buffer State” uno Stato cuscinetto che serve a garantire spazio fra gli europei e i russi. Le espressioni “Stato cuscinetto” e “zona d’influenza” sono usate ormai soltanto dai russi e appartengono a un linguaggio del secolo scorso. A Mosca, Vladimir Putin è molto irritato per quel che è successo e oggi incontrerà proprio Lukashenko per calcolare i danni e vedere se e come rimediare. Intanto, il Presidente russo ha rilasciato alcune dichiarazioni molto calme e allo stesso tempo esplosive, con le quali quasi avverte gli occidentali che se mai si permettessero di fare un solo passo in Bielorussia, lui gli scatenerebbe l’inferno.

Nota a margine: vale la pena seguire su internet i discorsi di Putin sottotitolati in inglese, per chi non sa il russo, perché la sua personalità appare particolarmente controllata e inoltre si concede l’uso piuttosto evoluto delle lingue francese e inglese, e si sa che il suo tedesco è perfetto avendo diretto da Dresda la centrale di comando del Kgb sulla Stasi tedesca e sugli altri servizi dell’Est. Quando parla con la Merkel, ex cittadina della Ddr comunista, usano una lingua comune anche idiomatica. L’Europa ha applicato sanzioni alla Bielorussia tagliando tutti i voli da e per Minsk, cosa che costringe la linea aerea a licenziare quasi la metà dei suoi dipendenti e anche le compagnie russe subiscono danni pesanti. La politica russa, spiegata dal ministro degli Esteri Lavrov, consiste nello stare a guardare e agire di rimessa per ridurre i danni.

L’atto di aperta pirateria internazionale compiuto da Lukashenko – che ha personalmente dato l’ordine ai suoi caccia di costringere il volo Ryanair all’atterraggio – è interpretato anche a Mosca come un segno di debolezza perché Roman Protasevich è soltanto un blogger con una rete di oppositori, spettacolarmente catturato in un momento di bonaccia sulle piazze della Bielorussa, dopo la fine delle dimostrazioni di agosto che seguirono l’improbabile vittoria elettorale del dittatore. In mancanza di fonti attendibili, prosperano quelle di fantasia, fra cui quella secondo cui sarebbe stato davvero fatto credere a Lukashenko che dei terroristi viaggiassero con una bomba a bordo, spingendolo a fare il superpoliziotto dei cieli con la sorpresina di fargli trovare il ricercato dissidente Roman Protasevich. Cosa che lo avrebbe costretto ad arrestarlo, esponendolo alla somministrazione di nuove pesanti sanzioni che colpiscono anche la Russia.

È credibile questa ipotesi? Non possiamo escludere l’ipotesi di una trappola, benché improbabile. Ma la partita bielorussa è una grande partita perché mette in discussione l’ultimo “spazio vitale” dell’ex Urss che cessò di esistere il giorno in cui tre presidenti, quello russo, ucraino e bielorusso decisero di separare i loro destini e di ammainare la bandiera con la falce e il martello. Da allora Putin ha ri-confederato la Bielorussia e si è è preso la Crimea dall’Ucraina a mano armata, dopo aver colpito la Georgia, paese che dette i natali a Stalin, governata dal suo nemico e filoccidentale Saakashvili. Il Paese che per tradizione e per il corso degli eventi mantiene la linea più ferma nei confronti della Russia è il Regno Unito, che ha già processato Putin in passato nel tribunale di sir Robert Owen che lo accusò di omicidio. Putin quando parla dell’Inghilterra non pronuncia mai il suo nome, ma la chiama semplicemente “l’isola”.

E nell’isola, adesso Boris Johnson sta minacciando l’ulteriore stretta: colpire con le sanzioni il gasdotto “North Stream 2” che porta energia russa in Europa, ma passando attraverso la Bielorussia. Sarebbe un colpo quasi mortale per l’economia russa dopo la legnata subita dalle sue compagnie aeree che hanno dovuto sospendere i voli per l’Europa attraverso Minsk. La situazione sta diventando progressivamente esplosiva. A Washington ricordano che i giapponesi attaccarono Pearl Harbor nel dicembre del 1941 dopo essersi visti chiudere dagli americani gli accessi petroliferi nel sudest asiatico. La storia non si ripete mai in modo esatto, ma anche le varianti sono molto pericolose.