Nell’attesa che si raggiunga un accordo sui dazi con gli Stati Uniti, il 9 luglio, l’Unione europea saggia nuove strade. Si teme che con Washington le cose finiscano male. Inoltre, la commissione Ue si sta rendendo conto finalmente che non si tornerà più come prima. Qualora anche si saldasse una nuova alleanza transatlantica, è la globalizzazione ad aver cambiato pelle. L’Europa quindi deve sapersi adeguare. Ecco perché, dopo mesi di colloqui perlustrativi e tentennamenti – che confermano l’inguaribile lentezza decisionale di Bruxelles – Ursula von der Leyen è uscita allo scoperto, dichiarando l’interesse dell’Unione ad aprire il dialogo con il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (Cptpp).

Il Cptpp

La conferma si è avuta in occasione della visita a Bruxelles del premier neozelandese, Christopher Luxon, il cui Paese è uno dei dodici membri della partnership pacifico-asiatica, insieme ad Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Perù, Singapore, Vietnam e, da dicembre dello scorso anno, Regno Unito. Il Cptpp nasce dalle ceneri della fallita Trans-Pacific Partnership, che contava tra i firmatari anche gli Usa di Bush jr. prima e Obama poi. Si trattava di un accordo di libero scambio, in chiave anti cinese e quindi del tutto vantaggioso per Washington. Nel 2017 però, all’inizio del suo primo mandato, Trump lo rigettò perché, a suo dire, «orribile e vergognoso». Oggi, l’Ue non pensa a un accordo. Ma è alla ricerca di vie alternative. Inutile illudersi di portare il presidente Usa a più miti consigli. Qualunque sarà il risultato sui dati raggiunto il 9 luglio, non è detto che sarà rispettato. A loro volta, i rapporti con la Cina rischiano di trasformarsi una tenaglia per la nostra economia.

Non ci sarà più epicentro

L’Unione sta comprendendo quindi che bisogna uscire dalle regole del Wto. Per salvare i vantaggi della globalizzazione e del libero scambio, è tempo che non si guardi più a Ginevra come il cardine del commercio mondiale. Forse non ci sarà più epicentro. D’altra parte – per sconfessare il trumpismo – le interconnessioni tra mercati, in termini di catene di approvvigionamento, trasferimento tecnologico e domanda dei consumatori, resteranno. E se le relazioni con gli Usa e la Cina dovessero diventare più conflittuali, è necessario andare a parlare con gli amici fidati. In quest’ottica, il Cptpp è la sintesi delle esigenze europee. Australia, Canada, Giappone, Singapore e la Gran Bretagna, ovviamente, parlano la nostra stessa lingua. La fiducia è reciproca. Le procedure di contrattazione sono le stesse. Brunei, Cile, Malesia sono fornitori di quelle materie prime che tanto servono al rilancio della nostra industria e con cui si può giungere ad accordi di friendshoring al contrario impossibili con Pechino. Almeno sulla carta.

Infine, si arriva ai mercati emergenti – Messico, Perù e Vietnam – dove l’Europa può ancora penetrare facendo leva su una quota di consumatori sempre più benestanti e quindi sulla loro domanda di prodotti di qualità. A questa linea di procedura, si aggiunge il vantaggio degli inglesi, new entry dell’alleanza, testa di serie tra i nostri interlocutori e che, di suo, ha tutto l’interesse a fare da trait d’union. “Io vi accompagno a Bruxelles dove finora siete sempre stati accolti come visitatori di serie B”. Questo è il pensiero di Starmer nei confronti del Cptpp. “Io vi riporto nel Sud Est asiatico, da dove l’Europa è assente ormai dai tempi di Diem Bien Phu”. Questo, a sua volta, il messaggio per l’Ue. Cosa voglia in cambio Downing Street è evidente. Fare di Londra la cabina di regia di questi nuovi rapporti commerciali. Il progetto è ambizioso. Può funzionare. Ma Dio non voglia che Trump lo interpreti come una manovra ostile.

L’alternativa

Nel tal caso, si dovrebbe riavvolgere di tre mesi il nastro dei negoziati sui dazi. A spese nostre soprattutto. Detto questo, resta una differenza strutturale. Insieme, i 39 membri Ue e Cptpp andrebbero a costituire il 30% del commercio mondiale. È notevole. Come è altrettanto significativo lo scarto tra il reddito pro capite Usa (74 mila dollari circa) e quello dei Paesi Cptpp (39 mila dollari). I primi sono consumatori garantiti oggi. Gli altri sono da formare nel tempo.