Il commento
Pride di Budapest, in scena duello Orbán-Europa

Oggi giornata di confronto internazionale a Budapest, per il Pride a sostegno dei diritti LGBTQIA+. L’amministrazione progressista della capitale con il sindaco Gergely Karàcsony ha voluto patrocinare la kermesse, proponendo un’edizione senza carri e manifestazioni troppo “estreme” per aggirare la legge che da marzo vieta assembramenti e manifestazioni che minaccino l’educazione dei bambini, in Ungheria fondata sui due sessi naturali (maschio e femmina), escludente qualunque altro tipo di orientamento di genere.
Tuttavia il governo centrale ha ribadito che tale manifestazione è vietata e che utilizzerà i mezzi a disposizione previsti dalla legge – compreso l’impiego delle forze di polizia e gli strumenti informatici di riconoscimento facciale per l’identificazione dei partecipanti – per l’erogazione di multe o procedere ad eventuali arresti. A complicare il tutto si sovrappone la manifestazione (autorizzata) del “movimento dei giovani delle 64 contee”, HVIM, un movimento irrendentista e nazionalista noto per azioni dimostrative oltre frontiera (per il ritorno all’Ungheria delle regioni perse alla fine della grande guerra) e in particolare per la riannessione della regione ucraina abitata da una minoranza ungherese.
Tanti elementi che si incrociano sullo sfondo di un’Ungheria insolitamente allineata al Consiglio europeo, dove ha lasciato la Slovacchia di Fico nella posizione di veto al rinnovo delle sanzioni alla Russia.
Viktor Orbán, infatti, gioca sul filo della guerra di nervi la partita dei “valori”: la famiglia tradizionale, i valori patriottici, la patria, dove – nella retorica del Fidesz “illiberale” e ultraconservatore – sono condivisi con paesi e regimi come la Russia di Vladimir Putin, e invece la minaccia a tali valori è data dalla propaganda transgender e omosessuale, di fatto rappresentata dall’Unione Europea. Dà corpo e consistenza a questa contrapposizione l’annunciata presenza a Budapest di numerosi europarlamentari e parlamentari di paesi membri, personaggi di spicco della società civile europea e intellettuali, chiamati a testimoniare proprio a Budapest l’importanza dei valori liberali europei, di rispetto delle diversità e delle minoranze.
Il governo Orbán gioca la sua ultima partita tra asse del conservatorismo internazionale, tra Trump e Putin, e dialogo con le cancellerie europee: chiuso il vertice NATO allineato agli USA, gestito il Consiglio europeo in posizioni di mediazione, Orbán rialza la posta con una battaglia “valoriale”, mettendo la sua credibilità di uomo di ordine e sostenitore della concezione di famiglia tradizionale, in uno scontro che potrebbe portare a decine di casi “Salis”, l’attuale eurodeputata italiana emersa come simbolo antifascista in carcere in Ungheria sotto processo per aggressione ad una manifestazione di estremisti di destra a Budapest.
Gli ingredienti ci sono tutti per continuare a parlare di Viktor e dell’Ungheria per i prossimi mesi: l’obiettivo, dopo la vittoria di Trump, è continuare a costruire un fronte ultraconservatore che cambi l’Unione Europea ideologicamente (ma anche istituzionalmente, sempre più verso una confederazione di paesi membri sovrani), ma il rischio è mobilitare un’opposizione sempre più forte contro kil “maverick” magiaro, sempre più percepito non come una voce “eurocritica” ma come una quinta colonna di potenze esterne all’Europa. Il leader magiaro ha dimostrato di essere un ottimo giocatore sui tavoli della politica internazionale così come su quello del consenso interno, dove però quest’ultimo scontro potrebbe coagulare un’opposizione sempre più vicina a proporsi come alternativa credibile all’ormai pluriennale governo Fidesz.
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