Macron come de Gaulle. No, non per grandeur o presenza fisica, ma perché la Quinta Repubblica francese non ricorda un altro inquilino dell’Eliseo caduto così in basso nei sondaggi come il suo fondatore. Era nell’aria che la crisi vissuta dalla Francia sarebbe, prima o poi, salita di livello. Dalle questioni economiche si è passati all’incapacità della politica a risolverle. L’instabilità ha fatto luce sulla debolezza delle istituzioni e chiamato in causa Emmanuel Macron in prima persona. Al punto che ora le sue dimissioni non sono più mormorate, ma un’opzione del tutto plausibile. Forse auspicata. Come per de Gaulle che, nel 1969, sconfitto al referendum sulla riforma del Senato e delle regioni, fu costretto alla resa.

L’ennesimo summit dei volenterosi pro-Ucraina, ospitato a Parigi, non basta a rifare il trucco al presidente. Putin e Trump si alternano nel dileggiare l’immagine ormai sbiadita di un leader europeo che se ne inventa di ogni pur di riconquistare il terreno sulla piazza internazionale. Ma le conseguenze, nella maggior parte dei casi, sono fallimentari. Per non dire drammatiche. Dopo la proposta di riconoscere la Palestina come Stato sovrano, Israele lo ha bollato come il “nemico numero uno”. Così dice Le Figaro. Sembra perfino che Netanyahu gli abbia negato la visita a Tel Aviv. A Bruxelles, l’amica di un tempo, Ursula von der Leyen – il cui secondo mandato alla presidenza Ue è stato possibile proprio grazie a Macron – accelera sul trattato con il Mercosur. Un dispetto alla Francia, che l’ha sempre osteggiato. Un favore a Berlino, che ha bisogno di esportare. Del resto, neanche Kyiv riesce a trarre vantaggio dagli slanci, per quanto nobilissimi, al suo fianco da parte di M. le Président. L’ordine del Ministero della Difesa francese, a tutti gli ospedali, di prepararsi all’eventualità di una guerra su larga scala appare gonfiato di un allarmismo che nemmeno i governi dell’Europa dell’Est condividono.

Sembra che Macron si stia facendo terra bruciata intorno. Nel mondo come a casa. La crisi del governo Bayrou è ormai evidente. Le ultime consultazioni hanno reso chiaro che nessuno vuole l’accanimento terapeutico di un premier che propone una soluzione lacrime e sangue all’emergenza economica. “Quale emergenza?”, dicono alcuni. Basta andare un po’ in deficit e vedi che i soldi per le pensioni li trovi. Il problema è proprio questo però. Per colpa delle pensioni si è andati troppo in rosso. Che carte ha in mano l’Eliseo quindi? Tentarla con Éric Lombard? Dare mandato di formare un nuovo governo al ministro delle Finanze uscente, ovvero all’autore della manovra che il Parlamento sta per bocciare, sarebbe assurdo. Come è irricevibile la richiesta dei socialisti di spedire uno dei loro al Palais Matignon. La terza opzione sarebbe un governo – guidato da chi non si sa – con un altro indirizzo politico, capace di presentare una manovra meno dolorosa. “Non è possibile!”, direbbe la Ragioneria di Stato.

Quindi le urne? Di nuovo? Il Rassemblement National è al 30-35%. Marine Le Pen, facendosi beffe dei magistrati che potrebbero stopparne la candidatura, non spera altro. La sinistra coalizzata – France Insoumise, socialisti e verdi – avrebbe il 23,5%. Altre elezioni anticipate vorrebbero dire polarizzare ancor di più la Francia, condannarla all’ingovernabilità, comprometterne la fiducia dei mercati e degli amici europei, e poi scrivere la parola fine alla storia dei moderati che, da sempre – anche con i socialisti Mitterrand e Hollande – hanno in tasca le chiavi dell’Eliseo. No, de Gaulle se ne andò con più onore.