Oggi si girerebbe dall’altra parte “considerando le leggi che ci sono in Italia“. Si dice pronto ad andare in carcere ma deluso dalla società, dall’azienda per cui lavorava (che l’ha scaricato), dai colleghi e soprattutto dalla politica e da quei leader che manifestarono la loro solidarietà salvo poi sparire. E’ la storia di Massimo Zen, 52enne di Cittadella (Padova), la guardia giurata che il 22 aprile 2017 sparò tre volte contro l’auto sulla quale viaggiavano tre rapinatori, uccidendone uno. Lo scorso primo giugno la Cassazione ha confermato la condanna a nove anni e sei mesi per omicidio volontario nonostante la procura generale avesse chiesto di annullarla e rimandare il caso in Corte d’Appello.

Zen si trova nella sua abitazione insieme alla compagna ed è in attesa nelle prossime ore dell’arrivo dei carabinieri che lo porteranno in carcere. All’alba del 22 aprile 2017 a Barcon, frazione del comune trevigiano di Vedelago, la guardia giurata mise l’auto di traverso e quando i banditi (inseguiti dai carabinieri dopo aver messo a segno una serie di colpi ai bancomat della zona) puntarono su di lui per investirlo esplose tre colpi, uno dei quali uccise Manuel Major, 36enne di professione giostraio, colpendolo alla testa, deceduto dopo qualche giorno in ospedale (la famiglia si è costituita parte civile).

Zen, intervistato dal Corriere Veneto, si dice deluso dalla giustizia “che non ha tenuto conto della situazione in cui si era trovato a operare”. “Deluso dall’azienda – aggiunge – per la quale lavoro che, dopo aver promesso sostegno, mi ha lasciato a spasso appena mi è stata tolta la possibilità di lavorare con il risultato che, da un anno e mezzo, tiro avanti con l’assegno di disoccupazione. E deluso – osserva – anche dalla politica”. Nei giorni seguenti alla sparatoria, sostiene, “diversi politici dichiararono ai giornali la loro solidarietà nei suoi confronti. Eravamo in periodo elettorale ma, nel giro di breve, la loro vicinanza non si è fatta più sentire”. E a chi gli chiede se lo rifarebbe, risponde senza esitare: “no, considerando le leggi che ci sono in Italia, oggi mi girerei dall’altra parte”.

Difeso dall’avvocato Alberto Berardi, pochi giorni fa la Cassazione ha confermato la pena di nove anni e sei mesi di galera per omicidio volontario, nonostante la procura generale avesse chiesto di annullare la condanna e rispedire il caso alla Corte d’Appello perché “l’evento si sviluppò nel contesto di una attività lecita, seppur rischiosa, che aveva determinato una situazione che imponeva una reazione”.

LE MOTIVAZIONI: “NON FU LEGITTIMA DIFESA, DOVEVA LIMITARSI A SEGNALARE” – Per i giudici dei due gradi di giudizio (anche in primo grado è stato condannato a 9 anni e 6 mesi), non si trattò di legittima difesa da parte del ranger del gruppo Battistolli perché “Zen ha dato volontariamente e consapevolmente il proprio contributo decisivo aI crearsi della situazione di potenziale pericolo per la propria incolumità, pericolo al quale egli liberamente si è esposto”. Dunque “la sua condotta – risulta in aperto contrasto con le regole di comportamento che avrebbe dovuto seguire: lo stesso avrebbe dovuto limitarsi a segnalare collaborativamente ai carabinieri la presenza dell’auto in fuga. Il regolamento di servizio demanda alla guardie giurate la vigilanza specifica su obiettivi determinati e sui beni in questi custoditi, essendo esclusa una competenza di generale tutela e controllo del territorio, di esclusiva pertinenza delle forze dell’ordine. In caso di rilevata situazione di pericolo nel corso del servizio di vigilanza, la guardia giurata è chiamata ad allertare la centrale operativa, attendere l’invio di rinforzi e informare le forze di polizia”.

“Sto preparando ogni cosa con cura – spiega -. Ho abbracciato mio figlio, comprato le crocchette per i cani, ho salutato i miei genitori, che sono entrambi malati. Ora voglio rimanere a casa, accanto alla mia compagna: aspetto con lei l’arrivo dei carabinieri”, continua Zen che poi aggiunge: “Ancora non riesco a rendermene conto. Fino a quel giorno, per oltre vent’anni ho indossato una divisa e i malviventi ero abituato a catturarli – prosegue – Invece ora tocca a me andare in carcere e non so cosa aspettarmi. Quindi, ora come ora, più che preoccupato da ciò che mi aspetta, sono deluso”.

 

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Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.