"Ma il vero segreto è l’autenticità"
Meloni leader dei social, Longobardi: “Coerenza e semplicità, così ha stravolto i pronostici. Polemiche arrivano perché è una donna di destra”
Il responsabile della comunicazione digitale di Giorgia svela la ricetta del successo: “È rimasta sempre sé stessa senza costruire maschere Anche diversi leader di sinistra riconoscono la sua autorevolezza”
Sul campo da gioco dei social non c’è partita: Giorgia Meloni è la leader italiana più seguita in Rete. Può vantare oltre 13,3 milioni di follower complessivi: 4,4 su Instagram; 3,3 su Facebook; 2,9 su X; ben 2,7 su TikTok. Dietro questo successo – fatto di numeri, linguaggi e strategie – c’è sempre lo stesso regista: Tommaso Longobardi. È lui l’«uomo ombra» del presidente del Consiglio, l’architetto della sua presenza digitale, l’uomo che ha trasformato la comunicazione di Meloni in un racconto capace di parlare direttamente ai cittadini. Dai banchi dell’opposizione a Palazzo Chigi, dalle dirette sui social ai format istituzionali, Longobardi tesse la trama che tiene insieme genuinità e leadership. Perché, al netto di tecniche e piani digitali, il segreto resta uno: l’autenticità, quella cifra personale che nessun algoritmo può replicare e che continua a renderla credibile agli occhi di milioni di italiani.
In prima linea sui social, ma sempre dietro le quinte. Cosa significa essere l’«uomo ombra» di Giorgia Meloni?
«Collaboro con Giorgia Meloni da ormai otto anni ed è stata senza dubbio la sfida professionale più grande della mia vita. Essere “l’uomo ombra” significa lavorare ogni giorno senza apparire, curando ogni dettaglio della comunicazione digitale con un obiettivo preciso: far arrivare in modo chiaro e autentico la sua voce ai cittadini. Non è un lavoro di riflettori, ma di responsabilità e di visione: trasformare le idee in linguaggio, i valori in contenuti, senza mai snaturare la persona che rappresenti. Se oggi posso guardarmi indietro, spero davvero di aver contribuito a costruire un percorso solido, portando risultati concreti. Ma so che ogni giorno bisogna ricominciare da capo, perché la comunicazione non è mai un traguardo raggiunto, è sempre una sfida aperta».
Da leader dell’opposizione a presidente del Consiglio: cambiare e adattare la comunicazione non sarà stato facile. Come hai gestito questo processo repentino?
«Il passaggio dall’opposizione a Palazzo Chigi è stato delicato, perché significava adattare il linguaggio senza snaturarlo. Giorgia Meloni ha sempre avuto uno stile diretto e verace, e l’obiettivo era mantenere quella autenticità pur dentro i canoni della comunicazione istituzionale. Abbiamo ragionato molto su come trovare questo equilibrio e da lì sono nati format come Gli appunti di Giorgia: uno spazio in cui il presidente del Consiglio può parlare direttamente ai cittadini, senza filtri mediatici e senza rigidi schemi istituzionali. È stata la soluzione per preservare la sua naturalezza e, allo stesso tempo, rispettare il ruolo che ricopre. In fondo la vera sfida è stata questa: cambiare cornice senza cambiare la persona».
E infatti oltre la tua professionalità c’è anche l’immagine di Giorgia. Quanto conta la sua autenticità?
«L’autenticità è il fulcro attorno a cui ruota tutta la sua forza comunicativa. Senza autenticità non c’è messaggio che possa davvero funzionare con i cittadini, e Giorgia Meloni ne è la dimostrazione più evidente. Lei non interpreta un ruolo, non costruisce una maschera: è sé stessa, con i suoi toni, la sua veracità, la sua schiettezza. Ed è proprio questo che la rende credibile, perché le persone avvertono immediatamente quando un leader parla in maniera autentica o quando invece recita un copione».
Insomma, la coerenza tra l’immagine pubblica e quella social è il vero segreto del suo successo…
«Coerenza, autenticità, semplicità: credo siano questi i tre pilastri che spiegano il suo successo comunicativo».
Però qualche ramanzina da Giorgia l’avrai ricevuta, o no?
«Ramanzine no, direi proprio di no. Certo, capita di discutere sull’opportunità di un’uscita o di un contenuto: io porto la mia sensibilità da comunicatore, a volte più prudente, lei quella di una politica diretta e senza filtri. Alla fine, quasi sempre, la sintesi tra queste due visioni porta al risultato migliore. È anche questo il valore del nostro rapporto professionale: il confronto schietto, senza mai formalismi».
Passiamo ai vertici internazionali. I rapporti con gli altri leader di destra, in particolare con Donald Trump, sono idilliaci. Anche i capi di Stato e di governo di sinistra riconoscono l’autorevolezza di Meloni o mostrano una certa diffidenza?
«Credo che anche diversi leader di sinistra riconoscano la sua autorevolezza, magari senza ammetterlo pubblicamente. È però evidente a tutti che i rapporti geopolitici dell’Italia siano cresciuti e migliorati, e non era affatto scontato: in pochi avrebbero scommesso su Giorgia Meloni prima del suo arrivo a Palazzo Chigi. Anche in questo caso ha ribaltato i pronostici che la volevano isolata, dimostrando invece capacità di dialogo e credibilità internazionale».
Si arriva a montare un polverone per un breve viaggio privato con la figlia Ginevra. Come l’ha presa Meloni?
«Credo che il messaggio pubblicato sui social di Giorgia Meloni racconti bene il suo punto di vista. È stata un’uscita infelice, perché parliamo di un viaggio privato pagato di tasca propria, legato al compleanno della figlia. Vedere che si sia montata una polemica politica, con insinuazioni e falsità, su una scelta così personale è stato un brutto spettacolo. Un episodio che non fa bene alla politica e che restituisce un’immagine negativa di chi riduce tutto a strumento di attacco».
Forse proprio il fatto di avere di fronte una donna influenza e indirizza certi attacchi…
«Probabilmente sì, soprattutto perché è una donna di destra. In altri casi avremmo visto una reazione di indignazione molto più ampia, sia a livello mediatico che politico. Con lei invece sembra quasi ci sia una tendenza a sminuire, come se certi attacchi fossero comunque tollerabili. È un doppiopesismo evidente, frutto di un’ideologia che misura con due pesi e due misure a seconda di chi ha di fronte».
Il governo sta per timbrare il terzo anno a Palazzo Chigi. Qual è il post di cui sei più orgoglioso?
«Non c’è un post in assoluto di cui vada più orgoglioso. Forse quelli che nascono da un’intesa e ci permettono di fare qualcosa di diverso, di creativo, ma sempre in sintonia con Giorgia. Se penso a un episodio che mi ha dato soddisfazione, ricordo il primo post con Narendra Modi. In rete circolavano già trend che li accostavano con la parola Melodi e decidemmo di cavalcarli con un selfie fatto apposta da Giorgia, rilanciato con l’hashtag #Melodi per inserirci nel flusso virale. Quel contenuto è diventato un caso internazionale, ha generato numeri record e, soprattutto, ci ha permesso di costruire una narrazione positiva e virale anche nei post successivi tra i due leader. È stato un esempio concreto di come un’intuizione digitale possa trasformarsi in un fenomeno globale».
Guardiamo al futuro. Credi che riusciremo a domare i rischi dell’Intelligenza Artificiale, dei deepfake? Distinguere un video vero da uno falso sarà sempre più complicato…
«Sarà una sfida sempre più complessa. I fake sono ormai talmente realistici che per le persone comuni distinguere un contenuto autentico da uno manipolato diventerà quasi impossibile. È per questo che la responsabilità principale dovrà ricadere sulle piattaforme, chiamate ad aggiornare costantemente filtri e strumenti di verifica. Non è solo una questione di qualità dell’informazione, ma di tutela sociale: un deepfake diffuso nel contesto sbagliato può avere conseguenze enormi, dalla politica alla vita privata delle persone. È un’urgenza che va affrontata subito».
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