Lo scrittore americano Don Winslow, in ‘Città in fiamme’, si avventura in questo dialogo fra due mafiosi. ‘Sai cos’è la storia?’, chiede il capomafia al picciotto. ‘Boh, il racconto del passato’, risponde il picciotto dopo averci pensato a lungo. Il capo lo guata: ‘No, è quel che la gente dice sia successo nel passato’. Il capomafia ha ragione. La storia la raccontano soprattutto i vincitori e, nel farlo, adattano, emendano, modificano, tacciono, esaltano.

Nella vicenda drammatica di Ustica, e non è l’unica, a questi elementi si mescola la ragion di Stato. Verità che vengono rivelate solo dopo anni e, spesso, solo parzialmente. La ragion di Stato, insegna Macchiavelli, proprio perché è legata a una ragione superiore, risponde a una morale diversa dalla morale comune. L’interesse statuale viene per primo, va tutelato anche a costo della verità se è utile alla comunità nazionale. Bene, ma chi stabilisce il limite che non si deve mai superare, come si fissano i criteri della conoscenza, è giusto occultare pezzi di verità di fronte a una tragedia di quelle proporzioni e, infine, era davvero in ballo la ragion di Stato?

La storia ci obbliga a confrontarci con le questioni universali, ci serve a combattere la peste del nostro tempo, presentismo e fake news, ma soprattutto la storia di serve a sconfiggere l’oblio. Senza passato non c’è idea di futuro. Con parole forti l’ha detto da par suo Faulkner: il passato non è mai morto, anzi non è mai passato. Ma se la narrazione del passato è un legno storto fatto di omissioni, di mezze verità, di acrobazie da circo, come può sulla menzogna costruirsi il futuro? Una società senza memoria collettiva ha un’identità sfumata, è più debole. Se omettiamo di raccontare passaggi decisivi della nostra storia, o li raccontiamo nascondendo non un particolare ma un evento importante, la domanda ‘chi siamo davvero?’ ti sorprende come un ladro nella notte.

Non sono così ingenuo da pensare che nel governo degli Stati tutto avvenga alla luce del sole, tuttavia è tempo di definire un diverso canone. Siamo davvero certi che sia stata detta tutta la verità, fin dal gennaio-febbraio del 2020, sull’origine del Covid e sul suo impatto o, per ragioni in larga parte economiche, si è aspettato un po’ troppo a rivelarne gli effetti? Quante volte si camuffa sotto la voce ragion di Stato l’interesse particolare di chi governa in quel dato momento?

Da millenni l’uomo è mosso dai medesimi sentimenti: potere, paura, passioni. Tucidide, Napoleone e il commissario Ricciardi creato dal genio di De Giovanni concordano. Se i sentimenti che condizionano l’umanità sono questi, è fuorviante immaginare che la ragion di Stato viva nell’empireo e non risenta invece della condotta dei singoli quando siedono nella stanza dei bottoni. Una ragion di Stato a misura d’uomo, non a tutela di una comunità. Proprio quello che non ci serve.

Riccardo Nencini

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