Politica
Noi e Giorgia Meloni: underdog che alla fine vincono
Le premesse erano pessime e forse, proprio per questo, il discorso di Giorgia Meloni, ieri, è stato spiazzante per molti di quelli che lo hanno ascoltato, incluso chi si occupa di “cose politiche” per lavoro. E ne ha viste di ogni.
Persino per il cinismo disincantato dell’Elefantino che sul Foglio, oggi, scrive: “Non è stato un discorso demagogico, ha parlato in bianco e nero, senza spreco di colori. Niente di tossico, di trumpiano, per una che si professava ammiratrice di Bannon e di Vox, quegli scombinati ingegneri del caos”.
Spiazzante l’euroscetticismo diventato eurocentrismo, la continuità, in politica estera, con il governo Draghi, i toni dialoganti e non più belligeranti da Dio-patria-famiglia sui diritti e la difesa della 194, la citazione di Scruton per l’aggancio a un ambientalismo conservatore, la menzione dei suicidi in carcere e la denuncia delle relative condizioni di vita, ancora, la difesa dei confini affidata all’Unione e non più alla Guardia costiera, infine, la chiarezza nel dire, una volta per tutte che no, lei non ha mai provato “simpatia nei confronti dei regimi antidemocratici, fascismo compreso”.
Ecco, questo cambio di pelle – condensato in un discorso lungo un’ora e nove minuti – ha creato in chi ascoltava, ieri, la neopresidente del Consiglio una sorta di scombussolamento: ma come? Dov’è andata a finire la politica che urlava nella piazza gremita di Vox “sono una donna, sono una madre, sono cristiana”? La pasionaria di estrema destra, rimasta freezata nelle nostre menti, ieri si è trasformata nella leader di una destra liberale ed evoluta, pragmatica e che poi è una specie di buco nero per l’Italia e la sua storia politica. Perché, se la metamorfosi di Meloni fosse reale e, dunque, la sua volontà di interpretare una destra moderata ed europeista dovesse tradursi in atti e scelte di policies, sarebbe curioso se i suoi alleati di governo non la seguissero a ruota. E faticoso per lei – fino a un esito letale per la vita dell’esecutivo – guidare un tale carrozzone.
Non poteva non sorprendere, dunque, la metamorfosi meloniana, non solo gli ingenui e i puri di cuore – ché Giuliano Ferrara e Marco Taradash, per dirne due, non sono né l’uno né l’altro – ma molti analisti, oltre alle tante, tantissime donne in ascolto. Perché, soprattutto, noi donne?
Le chat “all female” di cui faccio parte, nei mesi scorsi, erano costantemente attraversate da un brivido spesso taciuto dalle più accorte, più volte codificato da quelle di noi col dente avvelenato: veniva fuori come ferita aperta oppure come domanda retorica. Possibile mai che la prima donna Premier che ci meritiamo sia una donna di estrema destra? Possibile che il centro sinistra non abbia mai lasciato “crescere” una donna nelle proprie schiere, mettendola al centro, magari una giovane e tosta e non una semplice ancella da mettere al fianco del leader maschio, sì insomma, una come Meloni, ma “de sinistra”? Non solo è possibile, ma è vero.
L’esclusione delle donne dal potere è un problema della cultura progressista, visto che a destra – al contrario – negli anni, sono emerse leadership femminili, in Italia come in Europa. Perché? La prima questione in campo: in Italia, ma non solo, è nei partiti progressisti più che in quelli di destra che il pensiero della differenza cui si richiamano molte leader femminili è potenzialmente trasformativo e dunque le donne possono essere vissute dai colleghi uomini, non solo come legittimi competitor ma anche come soggetti altri, nemici dello status quo, che è appunto il modello di società patriarcale.
A destra, questo non avviene perché anche la donna che si fa strada – sempre sotto l’ala protettiva del capo – resta in continuità con l’ordine costituito della disuguaglianza strutturale e, dunque, non fa veramente paura ai conservatori. Che ingrossano le file anche della sinistra, badate bene.
La biografia di Giorgia Meloni lo testimonia: “underdog” si è definita la premier a fine discorso e, all’istante, quante di noi si sono emotivamente connesse con lei!
“Underdog” è il cane sfavorito, quello destinato a perdere, a finire sotto ma che invece si smarca e, con uno sforzo sovrumano, alla fine, vince. Come Giorgia Meloni. Come tantissime di noi, underdog per cattiva sorte e tuttavia capaci di vincere e ribaltare tutti i pronostici.
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