La Banca Europea degli Investimenti verso la nuova presidenza
Nuova rotta per la BEI?
La BEI cambierà presidente entro la fine di quest’anno. La scelta del nuovo presidente della dovrebbe avvenire tenendo presente che è un’istituzione che può utilizzare leva di finanza pubblica per cambiare strutturalmente l’approccio allo sviluppo economico.
Oltre a discutere degli extraprofitti delle banche non sarebbe male se l’attenzione della pubblica opinione talvolta si rivolgesse anche al ruolo delle banche pubbliche di investimento. Specie a quello della Banca Europea degli Investimenti, che nel corso degli anni è cresciuta fino a diventare la prima banca di sviluppo regionale al mondo e la più grande banca multilaterale di cooperazione allo sviluppo, oggi operante in più di 140 paesi non UE.
La BEI cambierà presidente entro la fine di quest’anno e i giochi per scegliere la nuova guida sono in corso da tempo. Sarà una scelta strategica perché, in quanto banca pubblica di proprietà degli stati membri, può giocare un ruolo cruciale per le politiche dell’Unione europea. Sulla carta dovrebbe fungere da braccio finanziario per tutti i progetti di investimento fuori dalla portata dei singoli Stati. Specialmente quelli diretti a favorire una maggiore coesione sociale ed economica. E non c’è dubbio che si tratti di una funzione essenziale, in un momento storico in cui non solo l’importanza degli investimenti pubblici è di nuovo riconosciuta senza eccezioni – mettendo in discussione l’efficacia delle politiche di austerità del dopo recessione – ma anche perché si avverte con sempre maggiore urgenza il bisogno di nuovi strumenti e nuove idee per affrontare le transizioni multiple che premono alle porte.
La Commissione europea sotto la presidenza di Ursula von der Leyen ha inviato molti messaggi in questa direzione, per nulla ambigui. A partire dalla crisi pandemica si è assistito ad un processo accelerato di revisione dei capisaldi dell’ortodossia che ha orientato per almeno tre decenni le policy dell’Unione europea. Dal meccanismo di salvaguardia dell’occupazione (SURE) al piano di indebitamento comune per i progetti di ripresa e resilienza (Next Generation EU), dalla sospensione del patto di stabilità al rilancio del pilastro dei diritti sociali e dell’economia sociale, la politica europea in questi anni è cambiata profondamente.
Di fatto, le crisi ripetute degli ultimi quindi anni hanno portato ad un mutamento di rotta: la visione economica della Commissione oggi non si basa più soltanto sulle priorità del mercato unico e della concorrenza, ma ha abbracciato un pensiero meno dogmatico. La certezza granitica che i meccanismi di mercato siano da soli sufficienti a trovare soluzioni per ogni problema si è infranta contro la realtà e si sta affermando la rilevanza del tema della coesione sociale all’interno delle politiche europee.
Questa nuova visione per ora è maturata nel chiuso delle stanze ai piani alti della Commissione europea, dove il pensiero è mosso da preoccupazioni politiche e sociali per la tenuta futura dei paesi membri. Ora serve però che la nuova rotta si trasmetta anche alle istituzioni che possono rendere operativa questa visione. E tra queste la BEI, appunto, in quanto può esserne un potente strumento attuativo.
Infatti, potendo raccogliere le proprie risorse direttamente tramite l’emissione di obbligazioni sui mercati internazionali la Banca europea degli investimenti non è condizionata dai vincoli del budget UE. Può muoversi più agilmente per fornire finanziamenti a lungo termine a sostegno del riposizionamento delle politiche di sviluppo dei paesi dell’Unione. Soprattutto là dove le crisi di questi anni hanno evidenziato che è maggiore la necessità di investimenti pubblici: nella sanità, nell’istruzione e nella ricerca, nel contrasto alle crescenti disuguaglianze, nelle iniziative per fronteggiare il cambiamento climatico.
La BEI dovrebbe darsi come missione la creazione dei nuovi beni comuni europei, contribuendo a tracciare nuove vie per uno sviluppo al tempo stesso economico e sociale. Perciò serve un cambio di direzione. Finora l’attenzione rivolta ai progetti di rilevanza sociale è stata scarsa, mentre gli investimenti sono affluiti abbondanti a favore di grandi aziende, come Iberdrola o Repsol, e grandi banche come Société Generale e Unicredit, per le quali l’accesso a denaro pubblico a basso costo è certamente un vantaggio ma sicuramente non una necessità di interesse pubblico. Da una banca di proprietà pubblica, il cui mandato dovrebbe essere allineato agli interessi dei cittadini europei, ci si può aspettare di più.
È legittimo pretendere che gli ingenti mezzi finanziari che può mobilitare – ogni anno la banca realizza profitti per 2,5 miliardi di euro – siano messi a disposizione di progetti per combattere la povertà energetica, per fornire alloggi sociali, per migliorare sanità e servizi pubblici. Non è un’eresia affermarlo, visto che altri soggetti finanziari pubblici – come la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo o il Kreditanstalt für Wiederaufbau, istituito per finanziare la ricostruzione tedesca – hanno dimostrato come in realtà una banca pubblica di investimento può esercitare un ruolo più sociale, intervenendo anche in ambiti rischiosi, senza per questo perdere un rating di credito tripla A. Ed è lo stesso Parlamento europeo a chiederlo, peraltro. Si veda la relazione con cui quest’anno ha chiesto alla BEI di rispondere ai bisogni più urgenti dei cittadini europei.
La scelta del nuovo presidente dovrebbe avvenire tenendo presente che la BEI è un’istituzione che può utilizzare la potente leva di finanza pubblica nelle sue mani per cambiare strutturalmente l’approccio allo sviluppo economico. Sarebbe bene che chi ha la responsabilità della scelta non lo dimenticasse.
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