Se a teatro, malauguratamente, capitaste in una conversazione sul nuovo film di Zalone, accanto a un gruppo di attempati gentlemen incravattati e ladies imbellettate col collo di visone – che, con molta probabilità, quella sera ha saltato la settimanale partitina di burraco – ecco, potreste addirittura ricavarne uno spaccato sociale dell’Italia. A me è successo ieri sera, a Roma, al Teatro Vittoria.

Alla soglia dei suoi quasi cinquant’anni, è tornata Persone naturali e strafottenti, l’irriverente commedia del ’73 di Giuseppe Patroni Griffi, con l’impeccabile regia di Giancarlo Nicoletti e una superba Marisa Laurito, in quello che allora era il ruolo di Pupella Maggio. Il nuovo allestimento, in replica fino a domenica 19 gennaio, è stato accolto con grande entusiasmo in platea e dalla critica, sebbene il pubblico meno smaliziato abbia apostrofato l’esperienza teatrale con commenti razzisti e omofobi.

La Napoli di Patroni Griffi, in una malinconica notte di Capodanno, accoglie quattro disperati in cerca di compagnia: Donna Violante (Marisa Laurito), un’ex serva in un bordello, ora affittacamere per gli intrallazzi di un travestito, un femminiello napoletano dall’eloquente appellativo “Mariacallàs” e una coppia omosessuale, di cui uno di colore. Lo stesso debutto degli anni 70 destò un tale sconcerto che una volante fissa era appostata fuori al teatro, prima che lo spettacolo venisse censurato per oltraggio al pudore, per i temi sfacciatamente eversivi e le modalità di rappresentazione tutt’altro che convenzionali.

Così anche nel 2020, una commedia di denuncia sociale sull’emarginazione delle minoranze e sullo stigma della parzialità della giustizia di fronte allo straniero rimane per la borghesia più incallita (riporto fedelmente) «roba da gay, che fanno sempre cose estreme».

I miei vicini di posto, tre anzianotti sghignazzanti hanno tenuto a ribadire la loro militanza tra le file di quella mascolinità tossica che dà sfogo a battutine, che riporto, «Noi siamo uomini, a noi non piacciono queste cose», e ad esilaranti giochi di parole: «Ti piacciono le chicche o le checche» e l’altro «Le chicche, io sono ancora sulla buona strada».

Il microcosmo antropologico di Patroni Griffi, che aveva finalmente trovato a teatro una sua cittadinanza e dignità, continua ad essere necessario e volutamente uno “scandalo”, letto nella sua etimologia greca, come pietra “di inciampo, di rottura”. Si spiegano in questo modo le battute più razziste del personaggio di Violante, «Io di questo negro non mi fido, siamo in ostaggio. […] Se vi ammazzano una ragione ci deve essere» che seguono il racconto di Byron, omosessuale di colore, sulla condizione delle carceri, strette, senza finestre e tra i loro escrementi, nelle quali venivano rinchiusi i giovani neri arrestati in America.

Un’esibita vicinanza dell’autore all’organizzazione rivoluzionaria afroamericana Black Panther, mentre oggi sembra di sentir parlare un attivista del movimento di protesta americano, Black livesmatter. Eppure in platea non è rimasto inaudito un certo riso di consenso e sprezzo alla battuta «Negro fetente», nella scena in cui Byron, in preda ai fumi dell’alcol, si lascia andare a un nudo posteriore sulla scena. Un gesto che ha indignato, questa volta, le donne dell’alta borghesia a me limitrofe che non hanno saputo reggere il meccanismo teatrale, bisbigliando proteste di oscenità e persino uno zigomo rifatto tremava di imbarazzo. È lo stesso Patroni Griffi a rispondere loro con la lapidaria accusa di Byron: «Pudore. Ancora parole bianche da imparare», rompendo quella quarta parete, dietro la quale è abituato a trincerarsi un pubblico poco allenato alla dialettica come quello contemporaneo.

Così, tra grandi applausi, cala il sipario sulla sentenza: «Ci mancava solo una bella donzella. Siamo ormai circondati da gay», la cui amarezza è la stessa che si prova sentendo: «L’Italia è un Paese da distruggere, in mano ai dinosauri» dal professore de La meglio gioventù, film di Marco Tullio Giordana. Sono proprio quelli i dinosauri che neanche questa volta Patroni Griffi è riuscito a distruggere.