Nei giorni scorsi un Magistrato di Sorveglianza milanese è stato scompostamente attaccato, inverando la realtà, per aver concesso la detenzione domiciliare ad un detenuto gravemente malato cui mancavano pochi mesi al fine pena.
Ovviamente, pur essendo stato applicato l’art.47 ter, comma 1 ter o.p., e sebbene sussistessero tutti i requisiti di legge (e di umanità), si è sostenuto che la decisione è un favore alla Mafia, una cessione dello Stato, il frutto dei provvedimenti governativi, e altre amenità del genere.
Invece, qualche giorno dopo, ecco che arrivano due provvedimenti di segno opposto, sui quali nessuno fa sentire la sua voce.
Lo facciamo qui.
Col primo, il Magistrato di Sorveglianza di Verona ha respinto analoga richiesta (anni tre di reclusione), malgrado la dichiarazione di incompatibilità al regime detentivo del condannato, trasmessa dal Direttore della Casa Circondariale, attesa l’allegazione sanitaria dalla quale risulta che il condannato è risultato positivo alla SARS – CoV2.
Nell’occorso, si segnalava l’asintomaticità dell’interessato, il pericolo di insorgenza repentina di insufficienza respiratoria anche grave che non è certamente gestibile in carcere, l’impossibilità di mantenere il distanziamento sociale, dal che consegue una seria minaccia per la salute degli altri detenuti, della polizia penitenziaria e degli altri operatori in genere.
Testuale.
A tali considerazioni il Magistrato ha opposto come non sia scontato che la grave infermità sopraggiunga, a causa dell’asintomaticità, e che comunque una eventuale crisi respiratoria risulta meglio fronteggiabile in carcere che non al domicilio, laddove un soggetto abitasse da solo e non fosse perciò in grado di chiamare l’ambulanza. La normativa evocata, ancora, sarebbe posta a tutela della salute del condannato, e non della salute di altri.
Una strana concezione della salute come bene pubblico, nel dispregio assoluto sul punto dei dicta convenzionali, che impongono l’apprestarsi di tutele in via preventiva a salvaguardia della salute. L’art.3 della C.edu è diritto inderogabile, uno dei quattro core rights cui non è consentito mai fare eccezione, neanche in tempo di guerra.
Ancora.
Il Magistrato di Sorveglianza di Bari ha dichiarato inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare proposta negli stessi termini, con specifico riferimento all’esigenza di contenere i rischi connessi alla diffusione del Covid – 19, nella quale erano diffusamente segnalate le comorbilità del detenuto, i precedenti giurisprudenziali ammissivi di analoghe richieste, le indicazioni dell’OMS, la corretta lettura del bene della salute, presidiato dalla Carta costituzionale e da quella di Nizza.
Motivo: l’assenza di firma digitale da parte del difensore.
Inutile segnalare che neanche il protocollo del Primo Presidente della Suprema Corte per l’invio degli atti prevede ciò, e così anche il decreto della Presidente della Corte Costituzionale.
Un’istanza trasmessa via pec, firmata dal difensore, allegata in pdf, con procura speciale del detenuto.
E vogliono il processo in remoto.
Di remoto c’è un retrogusto di vuoto; di umanità, di empatia, di lungimiranza.