Si immagini cosa sarebbe successo, con un altro governo, se una manovra finanziaria approvata dal Consiglio dei Ministri il 28 ottobre di un anno “x”, con il seguito di autoesaltazioni da parte dei ministri, non fosse arrivata in Parlamento (o arrivata e ritirata per modifiche) dopo 11-12 giorni. È quanto è, invece, accaduto per la manovra di bilancio 2022. In effetti, il percorso di altre manovre da Palazzo Chigi (con l’autorizzazione alla presentazione da parte del Quirinale) a Montecitorio o a Palazzo Madama non è stato sempre particolarmente sollecito. Spesso, però, i rallentamenti erano dovuti alla deleteria prassi, adottata nelle sedute del Consiglio dei ministri, dell’approvazione con riserva, ricorrendo all’abusata formula del “salvo intese”. Almeno, una motivazione dei ritardi, benché oltre i limiti delle norme, esisteva. Nel nostro caso, invece, nulla è stato comunicato dopo la delibera del 28 ottobre – che per di più è stata assunta sconfinando sul prescritto termine del precedente giorno 20 riguardante anche i rapporti con Bruxelles – ma si sarebbe continuato a lavorare con aggiustamenti e modifiche sui testi deliberati, con particolare riferimento alle diverse forme di “superbonus” edilizio, al reddito di cittadinanza, alle pensioni, all’affitto per i giovani, ai fondi per gli asili nido: nel complesso, non certo misure trascurabili.

Esamineremo i testi finali. Ma si dovrebbe prospettare, innanzitutto, il problema del ritorno nel Consiglio dei ministri con una seduta ad hoc se le variazioni saranno state sostanziali, come si annuncerebbero. Diversamente, sarebbe arduo poter affermare che si tratta di proposte del Governo e non di quei pochi che, magari sotto la supervisione del Premier, hanno elaborato gli emendamenti. Un problema esisterebbe anche per l’informazione del Quirinale. Ma è pure lecito chiedersi perché sia stato necessario questo ulteriore tempo, quali aspetti non siano stati affrontati o non affrontati adeguatamente, quali questioni siano sorte dopo la seduta del predetto Consiglio, quali, invece, fossero riserve “solo “in pectore” di ulteriori approfondimenti.

In particolare, andrà valutata la coerenza delle modifiche apportate tra di loro e con le parti della manovra che restino uguali a quelle deliberate. Poi è sempre incombente il ricorso, questa volta secondo una prassi che sembra quasi consolidata, al “maxiemendamento” dopo il dibattito in uno dei rami del Parlamento. Fino a quest’ultimo approdo non vi sarà, dunque, una sufficiente certezza sui contenuti della manovra. Alla fin fine, pure il Governo dei cosiddetti o presunti Migliori non introduce sostanziali novità nell’iter della decisione sui temi di politica economica e di finanza pubblica. Vicende di questo tipo, come pure quella della concentrazione del dibattito sul futuro della Presidenza della Repubblica su un solo uomo, un pantocratore, che avrebbe solo il compito di scegliere quale carica vuole ricoprire, riferito all’attuale premier, presentano un quadro non esaltante a livello internazionale. Ma il primo a essere danneggiato da indicazioni e proposte che sfociano nella piaggeria o sono funzionali a disegni di singole persone che strumentalizzano il futuro del premier, è proprio lo stesso Draghi, il quale dovrebbe pregare perché dagli amici o presunti tali lo guardi Dio. Non si creda, del resto, che, abbacinati dalla Presidenza Draghi, governi, istituzioni, osservatori, investitori esteri non seguano i mass-media e, in particolare, non leggano i giornali e non siano al corrente di quel che accade in Italia. Lo dimostra l’immediata critica della Commissione Ue, per bocca di una sua rappresentante, della decisione del governo di espungere dal disegno di legge-delega la parte che riguarda le concessioni demaniali marittime e il commercio ambulante. Ora, dopo quello che si può considerare un pasticcio compiuto con l’iter iniziale della manovra, occorre, sulla stessa, una dose aggiuntiva di trasparenza, di informazione e di “accountability” per i passaggi del percorso più impegnativi. Sarebbe un errore ritenere che sia applicabile l’antico adagio “ Quod Jovi non bovi”, all’inverso, nel senso che ciò che non era consentito ai Governi del passato sia, invece, consentito all’attuale. All’opposto a quest’ultimo si chiedono, innanzitutto per la sua natura, maggiore rigore, coerenza e trasparenza. Se sussistono ragioni di urgenza, esse vanno dichiarate e vanno adottati gli strumenti previsti per fronteggiarle. Ma queste ragioni non certo giustificherebbero l’opacità riscontrata nei primi passi della manovra.