Una ritirata negoziale
Perché Israele incarna ciò che l’Iran non tollera
Israele incarna tutto ciò che il regime iraniano non è e soprattutto non può permettersi di diventare. È questa la chiave per leggere l’operazione “Rising“Lion”, il raid aereo ad alta intensità che ha colpito in profondità l’infrastruttura nucleare e militare iraniana. Oltre l’aspetto tattico, oltre l’efficacia operativa di un attacco fulmineo e chirurgico, l’azione di Tel Aviv rappresenta un gesto politico e identitario: la riaffermazione di un modello di civiltà che la Repubblica Islamica considera intollerabile nella sua stessa esistenza.
Incompatibilità sistemica
Per Teheran, Israele non è soltanto un avversario militare: è un’anomalia ideologica, un corpo estraneo che dimostra, con la sola propria presenza, che un altro Medio Oriente è possibile. Un Medio Oriente aperto, pluralista, competitivo, con istituzioni trasparenti, ricerca scientifica avanzata e un’alleanza stabile con l’Occidente democratico. Un luogo dove le minoranze religiose hanno voce, dove la leadership politica è frutto di consenso e alternanza, dove il dibattito, anche acceso, è parte integrante del tessuto nazionale. Tutto ciò che l’Iran combatte quotidianamente al proprio interno, viene incarnato all’esterno da Israele. Non è quindi una questione di confini o di armamenti, ma di incompatibilità sistemica.
Never Again
L’operazione militare degli scorsi giorni si inserisce esattamente in questo solco. Israele ha dimostrato, ancora una volta, di non accettare il principio della deterrenza passiva. Il dogma del Never Again, scolpito nella memoria collettiva dello Stato ebraico, non è una frase da museo: è una dottrina di sicurezza. Nessuna minaccia alla sopravvivenza di Israele può essere tollerata, né sottovalutata. E il programma nucleare iraniano, nonostante le narrazioni ufficiali, aveva già superato da tempo la soglia della legittimità. Il grado di arricchimento dell’uranio, oltre il 60%, non lasciava più dubbi sulle reali intenzioni del regime.
L’intervento militare di Israele
L’intervento militare, condotto da Israele con l’appoggio strategico statunitense, compreso l’uso di bombe bunker buster fornite da Washington, ha modificato radicalmente lo scenario. Non si è trattato solo di un gesto simbolico, ma di una mossa congiunta e calibrata all’interno di un fronte occidentale che, pur tra mille cautele, ha scelto di sostenere la linea rossa tracciata da Israele. È un segnale anche per gli alleati NATO: l’Iran non può più giocare indisturbato con l’ambiguità nucleare, e il tempo del disimpegno strategico, almeno su questo fronte, sembra finito. Anche i Paesi europei, tradizionalmente più inclini al compromesso, sono ora chiamati a riconoscere che l’illusione di un Iran “normalizzabile” si è infranta contro la realtà.
La risposta
Questa realtà è fatta anche della progressiva sconfitta sul campo dei principali proxy regionali di Teheran. Bashar al-Assad è oggi più un burattino che un attore, sopravvissuto grazie all’intervento russo ma privo di ogni legittimità internazionale. Hezbollah, in Libano, è sempre più isolato e logorato da una crisi economica e sociale che ha svuotato il suo consenso interno. E Hamas, dopo l’attacco del 7 ottobre e la conseguente risposta militare israeliana, ha perso buona parte delle sue capacità operative e della sua credibilità come attore politico. L’asse della “resistenza” si sta sgretolando lentamente, lasciando l’Iran più esposto, più solo e più aggressivo.
L’Iran scopre un fronte fragile
In questo vuoto strategico si inseriscono anche gli equilibri globali. La Russia, assorbita dalla guerra in Ucraina, sfrutta la relazione con Teheran come leva tattica, ma non ha né la forza né l’interesse per difendere l’Iran fino alle estreme conseguenze. Anche considerando che in Israele 2 milioni di persone parlano russo ed hanno una forte radice identitaria con Mosca. La Cina, pur cercando di mediare e mantenere aperti i canali diplomatici, ha mostrato chiaramente di non volersi far trascinare in uno scontro asimmetrico che metterebbe a rischio i suoi interessi economici con l’Occidente e il Golfo, aree preziose per le sue rotte energetiche e commerciali. E così l’Iran scopre che il fronte anti-occidentale che immaginava compatto è, in realtà, fragile, opportunista e pieno di contraddizioni.
Una ritirata negoziale
Secondo fonti diplomatiche, Teheran potrebbe ora essere costretta a rivedere completamente la propria postura: fine del doppio gioco, abbandono delle ambiguità sul nucleare, e forse accettazione di un compromesso imposto, come il trasferimento dell’arricchimento in Paesi terzi (Russia, Arabia Saudita) con livelli compatibili con l’uso esclusivamente civile. Una ritirata negoziale mascherata da accordo tecnico.
Resta ovviamente aperta la possibilità di reazioni scomposte. Il regime iraniano, nella sua fase più fragile e ideologicamente isolata, potrebbe cercare l’escalation indiretta: sabotaggi nel Golfo Persico, minacce allo Stretto di Hormuz, aumento della pressione attraverso i miliziani in Iraq, Yemen e Libano, con l’obiettivo di colpire la stabilità energetica mondiale. È un gioco già visto, ma questa volta con una soglia di tolleranza molto più bassa da parte di Washington e delle capitali europee, sempre più consapevoli che l’arma nucleare in mano agli Ayatollah non è una variabile negoziabile.
Verità scomoda
Ma ciò che rende questa fase così significativa è il ritorno di Israele a un ruolo che va oltre l’autodifesa: quello di avamposto della democrazia in un’area dominata da regimi illiberali. La sola esistenza di Israele è uno sfregio alla narrazione dominante a Teheran: dimostra che è possibile un Paese libero e moderno, sicuro senza essere oppressivo, armato senza essere aggressore, occidentale senza essere coloniale. È questa la vera minaccia per l’Iran: l’esempio. Ed è per questo che Israele, ancora una volta, ha agito. Non solo per fermare una bomba, ma per difendere un’identità. Perché in Medio Oriente non si combatte solo per la terra. Si combatte per la verità. E quella di Israele è, da sempre, una verità scomoda per chi fonda il proprio potere sulla menzogna.
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