I nuovi dati sulla contabilità nazionale delle regioni da poco pubblicati dall’Istat consentono di valutare meglio come l’economia italiana ha reagito alla crisi pandemica e come la ripresa ha diversamente interessato le varie aree del nostro Paese. Le nuove statistiche coprono il periodo fino al 2022 e mettono in evidenza dinamiche assai differenti da regione a regione.
Infatti, la regione che nel 2022 ha evidenziato la più forte crescita del PIL in volume rispetto ai livelli precrisi del 2019 è stata la Puglia (+5,2%), seguita dalla Lombardia (+4,5%) e dall’Emilia-Romagna (+3,6%). Queste tre regioni hanno fatto registrare incrementi nettamente superiori a quello, pur apprezzabile, del PIL nazionale nel suo complesso (+2,3%). Anche altre regioni del Mezzogiorno, oltre alla Puglia, hanno reagito abbastanza bene alla crisi pandemica con buoni recuperi rispetto ai livelli del 2019, come la Basilicata (+2,9%), la Campania (+2,0%) e la Sicilia (+1,9%). Bene pure il Friuli Venezia-Giulia (+3,4%), il Trentino-Alto Adige (+3,2%) e il Veneto (+2,8%), mentre, all’opposto, maggiori difficoltà hanno incontrato alcune grandi regioni come il Piemonte (+0,6%), la Toscana (-0,2%) e il Lazio (-0,3%), nonché l’Umbria (-1,6%) e l’Abruzzo (-1,1%), queste ultime due posizionate a fondo classifica. Dinamiche intermedie hanno caratterizzato le altre regioni.

Il percorso

Dopo la sensibile flessione del proprio PIL del 2020 (-7,4%), già nel 2021 la Puglia aveva recuperato, sia pure di poco, i livelli del 2019 (+0,2%). Ma è soprattutto grazie al forte progresso del 2022 (+5%), trainato dal valore aggiunto dei servizi (+5,9%), che la Puglia ha conquistato il primato di crescita tra le regioni italiane nel triennio 2020-2022.
La Lombardia è stata invece la regione più pronta a tornare sopra i livelli precrisi del 2019. Lo ha fatto già nel 2021 (+1,6%), dopo la forte caduta del proprio PIL del 2020 (-7,5%), con un immediato recupero nel 2021 (+9,8%). Merito soprattutto dell’industria in senso stretto (cioè le attività estrattive, manifatturiere, di produzione di elettricità, gas e acqua, escluse le costruzioni), che nel 2021 in Lombardia è cresciuta a due cifre (+15,4% sul 2020), portando subito il proprio valore aggiunto in volume parecchio sopra i livelli del 2019 (+2,8%). Poi nel 2022 l’aumento del PIL lombardo è stato meno forte ma pur sempre notevole (+2,9% sul 2021), trainato questa volta dal settore dei servizi (+3,8%). A sua volta, l’Emilia-Romagna aveva accusato un sensibile calo del PIL nel 2020 (-8,3%), ma con una pronta ripresa nel 2021 (+9,3%) si era già riportata alla fine di tale anno poco sopra i livelli del 2019 (+0,2%). Con una crescita altrettanto robusta nel 2022 (+3,4% sul 2021) l’Emilia-Romagna ha poi conquistato il terzo posto tra le regioni italiane per il più forte progresso compiuto rispetto ai livelli ante-pandemia del 2019.

Lombardia in testa

Come è noto, nel 2023 il PIL italiano è poi ulteriormente aumentato in volume dello 0,7%, portandosi ad un livello del 3% superiore a quello del 2019. Ciò permette oggi all’Italia di essere l’economia europea del G7 con il più forte progresso rispetto ai livelli precrisi, davanti a Regno Unito (+1,9%), Francia (+1,8%) e Germania (+0,7%).
Secondo stime Assolombarda-Prometeia, nel 2023 il PIL della Lombardia sarebbe progredito di un altro 0,9%. Ciò permette alla Lombardia di essere attualmente nettamente davanti per crescita economica rispetto ai livelli ante-pandemia (+5,4%) non solo nel confronto con nazioni come Regno Unito, Francia e Germania ma anche con altre grandi regioni europee manifatturiere di dimensioni e caratteristiche comparabili come la Baviera, il Baden-Württemberg o la Catalogna.
Sempre nel 2023, secondo stime della Regione, di Unioncamere e Prometeia, il PIL dell’Emilia-Romagna dovrebbe essere cresciuto dello 0,7%. L’espansione dell’economia emiliano-romagnola nel quadriennio 2020-2023 sarebbe stata quindi del 4,3%, anch’essa nettamente superiore sia a quelle delle maggiori nazioni europee sia a quella delle più grandi regioni manifatturiere tedesche, francesi e spagnole.

La gestione attendista

Stesso discorso per la Puglia, il cui PIL secondo Prometeia sarebbe aumentato dello 0,5% nel 2023, portando così la crescita cumulata della regione a +5,7% nel quadriennio 2020-2023.
Questi dati dimostrano che la maggiore crescita del PIL dell’Italia e delle sue regioni più dinamiche dopo la pandemia è avvenuto nel biennio 2021-2022. Ciò per effetto dei progressi strutturali della nostra economia già acquisiti prima del Covid-19, grazie soprattutto alle riforme dei governi Renzi e Gentiloni ed in particolare al Piano Industria 4.0, nonché alla sapiente gestione della ripresa post pandemica da parte del governo Draghi. Il 2023, in linea con le tendenze negative dell’economia europea e di quella mondiale, è stato per l’Italia un anno di rallentamento della crescita, ma con una dinamica pur sempre migliore di quella degli altri tre maggiori Paesi europei del G7.
Il governo Meloni dall’inizio del suo mandato non ha avviato politiche economiche proprie di particolare rilevanza ma ha semplicemente adottato una gestione “attendista” dell’economia.

Evitare un altro stop

Si può dire che l’esecutivo in carica finora abbia sfruttato sia la crescita economica inerziale ereditata dal governo Draghi sia l’abbrivio dei miglioramenti già messi a segno dall’economia italiana negli ultimi 7-8 anni in termini di competitività e resilienza, nonché di recupero del potere d’acquisto delle famiglie e di ripresa dei consumi.
Dopo aver ridefinito parzialmente con l’Europa l’allocazione delle risorse del PNRR, la vera sfida del Governo Meloni nel 2024 sarà quella di dare concreta esecuzione agli investimenti pubblici programmati e di rilanciare gli investimenti in macchinari e tecnologie delle imprese nel settore privato, la cui crescita, dopo la fine del Piano Industria 4.0, si è praticamente arrestata, anche per l’aumento dei tassi di interesse. Ciò allo scopo di evitare che l’Italia, dopo aver finalmente ritrovato dopo tanti anni la via della crescita, torni di nuovo a fermarsi, come era avvenuto nei difficili primi quindici anni del nuovo secolo.