C’è una commozione che non sorprende, perché autentica e condivisa, nel saluto che l’Italia intera sta rivolgendo a Pippo Baudo. Un’emozione trasversale alle generazioni, quasi virale, come accade solo per chi ha attraversato il tempo non da ospite ma da protagonista. Pippo era l’ultimo cavaliere della grande tavola rotonda televisiva, e la sua storia resta scolpita in decenni di successi, intuizioni e riconoscimenti. Passerà anzitutto agli annali poiché non era facile traghettare il varietà dai fasti in bianco e nero del grande boom (anni 60-70) verso le incognite a colori dei decenni 80-90 e tuttavia oggi la maggior parte di chi scrive su Baudo (me compreso) ha ancora negli occhi i balletti della Cuccarini e della Parisi, il ventriloquo Jose luis Moreno e il pupazzo Rockfeller, i Sanremo con “si può dare di più” del trio Morandi, Ruggeri, Tozzi e i gloriosi inizi di Laura Pausini, Giorgia, Bocelli tanto per dire il livello di scouting di Baudo. E’ stato un grammatico della Tv

Le 4 doti del perfetto oratore

Se volessimo chiamare in causa Cicerone – e l’azzardo non è eccessivo – Baudo ha incarnato, davanti alle telecamere, le quattro doti del perfetto oratore: invenzione, disposizione, eloquenza e azione.
Invenzione. Pippo ha saputo inventare una nuova grammatica del varietà. Non era semplice dopo i fasti di Canzonissima, eppure trovò una formula originale: con Domenica In portò il luccichio dello show dentro i pomeriggi degli italiani, facendo del week-end televisivo un rito domestico e popolare.

Disposizione
. Ogni suo programma era un meccanismo preciso, orchestrato dalla sigla iniziale a quella finale. La sua conoscenza musicale gli permetteva di costruire scalette armoniose, di dare ritmo e respiro alla diretta senza mai un inciampo. Qualcuno lo accusava di occupare troppo spazio, ma dietro quella presenza totalizzante c’era il rifiuto del pressappochismo: un lavoro rigoroso, prima e dopo lo spettacolo, che somigliava a un superpotere ma in realtà era pura dedizione.

Eloquenza. Il suo parlare fluido, chiaro e ricco di sfumature è oggi un bene raro. All’inizio non amava l’etichetta di “nazional-popolare”, ma col tempo quella definizione è diventata un complimento unico: nessuno, tra i grandi colleghi come Bongiorno, Corrado, Vianello, Carrà o Costanzo, ha saputo incarnare così pienamente la capacità di parlare a tutti, e di tutti.

Azione. Baudo non si limitava a ideare: realizzava. Non delegava a terzi, ma era il primo ad arrivare in studio e l’ultimo a uscire, quando le luci si spegnevano. Ogni puntata portava la sua impronta, perché era vissuta, sofferta, cesellata da lui in ogni dettaglio.

Per questo la televisione italiana deve dirgli grazie. Qualcuno ha provato a seguirne le orme, altri hanno improvvisato “alla carlona”. A loro un invito: andate a rivedere le Teche Rai e studiate il “metodo Baudo”. Perché il carisma non basta, senza mestiere e senza arte non si va lontano.

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"l’occhio vede, la mente ordina, ma è il discernimento a stabilire il senso"