Una sfida ingegneristica, economica e strategica
Ponte sullo Stretto, l’opposizione “di principio” del centrosinistra che diventa un assist per Salvini
Il dibattito sulla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina è diventato, ormai, una linea di demarcazione netta tra chi guarda al futuro e chi resta ancorato a un conservatorismo radicato. Non è solo un’infrastruttura: è un banco di prova politico e culturale. Anche di fronte al più grande investimento pubblico nella storia del Mezzogiorno, una parte del centrosinistra continua a dividersi. Le ragioni? Spesso basate su argomenti deboli, quando non apertamente nostalgici: l’attesa per la chiatta, il viaggio in traghetto, le scorpacciate di arancini (dicono siano i migliori al mondo, quelli venduti sulle chiatte), l’odore acre, quasi soffocante, dei gas di scarico delle navi a gasolio, il panorama dell’Etna che in prossimità dei Nebrodi scompare, poco prima dell’arrivo nella terra promessa, e traversate che durano oltre un’ora, senza considerare il traffico cittadino di Messina nelle ore di punta. Una sorta di rituale, esatta parafrasi della lentezza del Meridione.
Tra le critiche più frequenti ci sono i dubbi sulla capacità dei cavi di reggere il peso del ponte, la possibilità che le navi non possano transitare, e il timore che la costruzione su una faglia sismica possa causarne il crollo. Sono però obiezioni che presuppongono progetti amatoriali e improvvisati, dimenticando che esistono esempi internazionali, come i ponti giapponesi, capaci di resistere a forti terremoti. C’è poi l’argomento del “prima bisogna fare altro”: eppure lo Stato ha speso circa 200 miliardi di euro per il Superbonus edilizio, cifra che supera di gran lunga il costo stimato del ponte, e 36 miliardi per il Reddito di Cittadinanza. Due misure temporanee che hanno solo lasciato voragini nei conti pubblici.
Il Ponte sullo Stretto non serve solo al turismo. È un’infrastruttura strategica per l’economia e la logistica del Mezzogiorno. Tre chilometri di collegamento stabile possono ridurre sensibilmente il divario infrastrutturale con il resto d’Italia ed Europa, facilitando trasporto merci, catene di approvvigionamento e competitività delle imprese. Chi obietta che “prima bisogna pensare agli ospedali” dimentica che la sanità è materia di competenza regionale, scelta confermata dal referendum del 2016.
Negli anni ’90, numerosi leader del centrosinistra sostenevano l’opera. Oggi, invece, tra i leader dell’opposizione solo Luigi Marattin si è detto favorevole, senza se e senza ma. Perché gli altri si oppongono? Forse perché a volerlo realizzare è l’attuale governo? Un’opposizione “di principio” rischia di trasformarsi in un assist politico a Matteo Salvini, oggi tra i principali sponsor dell’infrastruttura, pur essendo stato contrario in passato.
Se le forze di opposizione al governo vogliono dimostrare di essere credibili, devono misurarsi sulle opere concrete, non sui ricordi di un viaggio in traghetto. Il Ponte sullo Stretto è una sfida ingegneristica, economica e strategica: affrontarla con serietà significherebbe dare al Mezzogiorno l’opportunità di uscire dalla marginalità. È molto più di un’opera: è un vero e proprio riscatto per il Sud, una concreta occasione di sviluppo, crescita economica e inclusione nel futuro del Paese. Rinunciare sarebbe continuare a condannare questa terra a restare ai margini.
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