La guerra in Ucraina, i suoi sviluppi, il vero obiettivo di Putin, la strategia di Biden, l’allargamento della Nato e il ruolo dell’Europa. Il Riformista ne discute con l’Ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, rieletto presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai).
Putin che minaccia l’uso di devastanti armi “segrete”. Il segretario Usa alla Difesa, Lloyd Austin che avverte: «Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto da non poter fare il tipo di cose che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina». Ambasciatore Nelli Feroci, è solo una escalation verbale o di peggio?
L’escalation verbale ha finalità diverse. La Russia utilizza il crescendo di minacce in funzione dissuasiva per cercare di ridurre le forniture di armi all’Ucraina. Le più recenti esternazioni di esponenti dell’Amministrazione americana sembrerebbero confermare un aggiornamento della linea seguita finora dagli Usa che si porrebbe come obiettivo non esattamente un vero e proprio regime change a Mosca, ma più realisticamente una strategia che mira a far pagare alla Russia di Putin il prezzo più alto possibile per questa aggressione all’Ucraina, senza che questo comporti un intervento diretto nel conflitto. In questa ottica, l’impegno manifestato dall’amministrazione Biden di fornire armi sofisticate all’Ucraina fa ritenere che gli Stati Uniti abbiano interesse a una resistenza a oltranza dell’Ucraina.
Si è detto e scritto che sostenere la resistenza ucraina, anche militarmente, è condizione per arrivare a un negoziato. La butto giù un po’ brutalmente: ma qual è il vero obiettivo di questo sostegno? Arrivare ad una pace giusta o la vera posta in gioco è l’abbattimento del regime russo e non solo di “zar Vladimir”?
L’obiettivo che gli europei stanno cercando di ottenere con il combinato disposto delle sanzioni e delle forniture di armi all’Ucraina è quello di costringere Putin ad accettare una sospensione delle ostilità e l’avvio di una qualche forma di negoziato con Zelensky. In Europa mi sembra che prevalga la convinzione che sia pure “obtorto collo” non si possano ipotizzare scenari diversi da quello di dover trattare con Putin perlomeno finché sarà Putin a governare la Russia. La posizione dei nostri alleati americani su questo punto a me sembra meno lineare e meno chiara.
Agli inizi dell’invasione, da più parti si è sostenuto che Putin aveva fatto il “miracolo” di rafforzare quell’alleanza transatlantica fra Stati Uniti ed Europa di molto incrinata dalle spallate di Trump. Le cose stanno ancora così o col prolungarsi della guerra, sta emergendo un “conflitto d’interessi” tra Usa ed Europa?
Per ora europei e americani sono stati straordinariamente uniti e solidali con una condanna senza distinguo o condizioni dell’invasione russa dell’Ucraina, con l’adozione di sanzioni molto simili, con la decisione di sostenere la resistenza dell’Ucraina con forniture di armi. Se il conflitto, come temo, dovesse proseguire ci sono rischi di decoupling tra la posizione degli Usa e quella degli europei. E vedo questi rischi collegati a due possibili sviluppi: una eventuale richiesta americana di rafforzare l’impianto sanzionatorio con un embargo sul gas russo, e una eventuale scelta americana di schierarsi apertamente per un regime change a Mosca. Aggiungo poi che ho l’impressione che gli europei siano un po’ meno convinti della opportunità di forzare la mano sulla contrapposizione tra democrazie e autocrazie e più interessati ad evitare fratture profonde tra l’Occidente e il resto del mondo.
C’è chi sostiene che per risalire la china dei sondaggi, l’inquilino della Casa Bianca, memore di George W.Bush, provi a vestire i panni, cari agli americani, di commander in chief. Lei come la vede?
I problemi maggiori di Biden non sono collegati alla guerra in Ucraina o alla linea assunta dalla Amministrazione nei confronti della Russia. Anzi mi sembra che su questi temi Biden possa contare su un sostegno importante nel Congresso e nell’opinione pubblica. I suoi problemi sono piuttosto collegati a questioni che toccano più direttamente le sensibilità dei cittadini americani: la situazione economica del Paese, le prospettive ridimensionate di crescita, l’impatto di una inflazione apparentemente fuori controllo.
Non le chiedo di entrare nella testa di Vladimir Vladimirovich Putin né in quella di Volodymyr Zelensky. Ma da diplomatico di lungo corso, come se lo immagina un compromesso tra le due parti?
Fino a qualche settimana fa si poteva ancora immaginare una soluzione basata su quattro elementi: uno statuto di neutralità per l’Ucraina riconosciuto internazionalmente e accompagnato da solide garanzie, una autonomia sostanziale per le due repubbliche di Donetsk e Lugansk anche in questo caso con garanzie internazionali, il riconoscimento da parte dell’Ucraina della annessione della Crimea alla Russia, misure di tutela delle minoranze russofone e della lingua russa in Ucraina. Oggi questo scenario non mi sembra più realizzabile. E molto dipenderà da dove e quando Putin deciderà di fermarsi. Mi sembra realistico ipotizzare una occupazione militare da parte russa di buona parte dell’Ucraina orientale e meridionale magari con la creazione di una o più nuove repubbliche sotto il controllo di Mosca. Una situazione che la comunità internazionale non potrà né riconoscere né accettare. E quindi un ulteriore lungo conflitto congelato nel cuore dell’Europa. E una nuova lunga Guerra fredda in Europa.
La Nato si allarga. «Se Svezia e Finlandia decidono di entrare nella Nato saranno accolti a braccia aperte». Così nei giorni scorsi segretario generale della Nato Jens Stoltenberg in conferenza stampa con la presidente Del Parlamento europeo Roberta Metsola. Ma così non si porta acqua al mulino della narrazione russa sull’“accerchiamento”?
La richiesta di Svezia e Finlandia di aderire alla Nato è un’altra diretta conseguenza della aggressione russa all’Ucraina. È evidente che i due Paesi in questione, da tempo neutrali per loro libera scelta, si sentono minacciati dalla Russia e maggiormente protetti se destinati a diventare membri dell’Alleanza Atlantica. Va anche detto che sia la Svezia che la Finlandia hanno da tempo un rapporto di intensa collaborazione con la Nato. E che la loro adesione alla Alleanza non comporterà particolari difficoltà o tempi lunghi. Nell’ottica della Russia invece non c’è dubbio che questa adesione verrà vissuta come un ulteriore allargamento a Est della Nato. Ma con modeste implicazioni operative dal momento che i due Paesi sono di fatto ampiamente integrati nei dispositivi di sicurezza occidentali.
C’è chi evoca una Helsinki 2 sulla sicurezza in Europa. Ma è pensabile poter realizzare questo obiettivo senza o addirittura contro la Federazione Russa? E in tutto questo, che fine ha fatto l’Onu?
Per il momento vedo poche prospettive per una soluzione diplomatica del conflitto. Anche perché allo stato attuale né Putin né Zelensky hanno sufficienti incentivi per avviare una seria interlocuzione. Putin sembra per ora solo interessato a proseguire l’offensiva sul terreno fino a che non avrà occupato quelle parti del territorio dell’Ucraina che gli consentiranno di poter dichiarare che “l’operazione militare speciale” si è conclusa con un successo rivendibile presso la sua opinione pubblica. E Zelensky ha ragionevolmente tutto l’interesse a resistere visto che la sua resistenza ha finora ottenuto risultati che si collocano al di là di ogni pur ottimistica previsione. Una architettura condivisa di sicurezza in Europa, una Helsinki 2, resta un obiettivo importante e condivisibile. Ma temo che saranno necessari tempi molto lunghi e una Russia molto diversa. Quanto poi all’Onu, non ci farei troppo affidamento. Non è questione di volontà, il Segretario generale Guterres ne ha molta, ma di possibilità concreta a sviluppare un’incisiva azione diplomatica. Con un Consiglio di Sicurezza bloccato dal veto della Russia, la paralisi è nelle cose.
«Alcune dichiarazioni di politici e media italiani sono andate oltre le buone norme diplomatiche e giornalistiche». Così sentenzia il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, intervistato a Zona Bianca su Rete 4. «L’Italia – ha aggiunto Lavrov – è in prima fila tra coloro che adottano e promuovono le sanzioni anti-russe. Per noi è stata una sorpresa. Eravamo abituati all’idea che l’Italia, grazie alla sua storia, sapesse distinguere il bianco dal nero». Come la mettiamo?
Le dichiarazioni di Lavrov non devono sorprendere, né devono essere motivo di eccessiva preoccupazione. Vanno se mai interpretate come un tentativo di mettere pressione sul Governo italiano per indurlo a indebolire il fronte comune occidentale e ad assumere un atteggiamento meno rigido su sanzioni e forniture di armi all’Ucraina. A Mosca si era abituati a considerare l’Italia come un paese tra i più aperti alla collaborazione con la Russia. La linea adottata dal Governo e dal Parlamento di condanna dell’invasione russa e di piena solidarietà con l’Ucraina è sicuramente stata una delusione per chi al Cremlino pensava di poter fare affidamento su una maggiore comprensione da parte dell’Italia.
Tra una settimana, il 10 maggio, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sarà ricevuto alla Casa Bianca. Cos’è, la convocazione di un alleato in vista di una guerra generalizzata?
La visita del Presidente del Consiglio a Washington era in programma da tempo anche se Draghi e Biden hanno già avuto occasione di incontrarsi in varie occasioni di vertici internazionali. Credo che la visita servirà a confermare la buona sintonia che esiste fra i due leaders, a fare il punto della situazione sulla guerra in Ucraina, e su altre sfide che caratterizzano l’agenda dei due Governi, e infine a rafforzare il rapporto bilaterale fra Italia e Usa.
