Scrivo dagli Stati Uniti così lontani mentalmente non tanto dall’Europa quanto dall’Italia. Anche la percezione della guerra è totalmente diversa, così come lo è negli altri Stati europei per non dire nel Regno Unito. Io ho una mia contiguità con l’America da molti anni – è e resta parte di me, qui vivono due miei figli che metteranno su famiglia – e dunque da un quarto di secolo ho imparato a interpretare la percezione americana attraverso la gente comune, e consumando, se così si può dire, i contenuti di centinaia di catene televisive che non si vedono dall’Europa, più quelle canadesi in inglese e in francese del Québec.
Dibattiti e conferenze si sprecano non sotto forma di truci talk show, ma di discussioni molto formali di esperti e cattedratici davanti all’emiciclo delle aule magne. Dibattiti serissimi e mai noiosi come da noi se ne sente il bisogno. In America, come anche nel resto del mondo occidentale che però include Giappone, Australia e Nuova Zelanda (voci del tutto neglette in Europa e insignificanti in Italia) non esiste, non circola, non ha seguaci la stravagante – per loro americani di sinistra e di destra – idea secondo cui l’aggressione russa all’Ucraina possa alla fine concludersi con un vantaggio dell’aggressore che si porta via dei pezzi di un Paese indipendente e sovrano, secondo l’idea tutta italiana secondo cui è meglio farla finita subito, si arrenda chi è più debole, trionfi chi è più malvagio e “chi ha avuto, ha avuto, chi ha dato ha dato: scurdammoce d’o passato, simme ‘e Napule, paisà”, come si cantava da noi alla fine di una guerra disonorevole e da seppellire nella memoria.
Senza troppo generalizzare, qui tutte le opinioni convergono su quell’ unico punto che è stato il cardine etico del mondo uscito dalla Seconda guerra mondiale nel 1945 e che recita: d’ora in poi non è più consentito ad alcuno Stato sovrano di invadere un altro stato sovrano per impossessarsi del suo territorio, legalmente riconosciuto dalla comunità internazionale, e farla franca. Qui non si registrano stati emotivi ma prevale la chiarezza condivisa secondo cui non sarebbe cosa buona per il mondo intero consentire a un aggressore che è per di più molte volte recidivo di chiudere un’avventura militare che causa terrificanti danni umani ed economici sia all’Ucraina che a tutti i Paesi che vivono del grano ucraino come l’Egitto, con un vantaggio territoriale e senza pagare i danni ingiustamente causati a una nazione sovrana. È un continuo leitmotiv: Putin non può e non deve essere ricompensato per un atto di pirateria internazionale in Europa.
Anche la percezione del terrore nucleare è molto diversa e non perché sarebbe eventualmente l’Europa a subire i danni devastanti di qualche bomba tattica. Anzi, prevale l’idea che se per disgrazia si dovesse innescare una guerra di questo genere, gli Stati Uniti sarebbero sulla prima linea del fronte e non in una retrovia, perché sono impegnati nella Nato, come gli inglesi e i francesi, a rispondere in maniera simmetrica, e questo dato di fatto rende gli Usa molto realistici. L’obiettivo che tutti chiedono di raggiungere è non tanto la sconfitta della Russia ma la cacciata di Putin, ritenuta possibile e forse imminente dai servizi britannici del MI6 che seguono quel che accade a Mosca con una dedizione di intelligence che non ha l’uguale in alcun altro Paese.
Gli americani, inoltre, e questo appare evidente in alcuni discorsi accademici, stanno facendo un accurato censimento sulle posizioni in Europa particolarmente ostili nei loro confronti e particolarmente vantaggiose per la politica di Putin perché considerano, sia pure con molta prudenza, l’eventualità che la guerra – questa guerra – possa allargarsi al resto dell’Europa dove sono attivi moltissimi snodi affaristici e di pura disinformazione russa. Ma al tempo stesso non ritengono affatto probabile che una tale guerra ci sarà e sono convinti – opinione pubblica, Casa Bianca, Dipartimento di Stato e agenzie di sicurezza, che il conflitto si concluderà su territorio ucraino e che durerà fino al momento in cui Putin avrà esaurito le risorse che sono già limitatissime.
Un altro elemento che si coglie dalle discussioni universitarie del continente americano – e che ha anche un alto valore propagandistico – è la documentazione della incolmabile differenza di qualità delle armi usate: la produzione occidentale – ora si aggiunge quella danese con missili antinave di precisione micidiale che sconvolgono i rapporti di forza sui mari – è dedicata ad armi sempre più precise e che richiedono un minore volume di fuoco rispetto a quelle russe che cercano di colmare il gap di qualità con la quantità. Questa è una ragione per cui l’armata russa pratica come arma militare l’uso del terrore e delle stragi di civili come quella di Bucha, ora accuratamente documentata da filmati pazientemente cercati, trovati e pubblicati da un team di giornalisti del New York Times in cui si vedono gli ostaggi civili bendati costretti a camminare in fila indiana ciascuno con una mano sulla testa di chi precede e avviati al bordo di una fossa comune per essere abbattuti a colpi di mitra.
Anche la condanna all’ergastolo del giovanissimo soldato russo che ha confessato di aver ucciso senza ragione un ciclista settantenne dopo che un superiore gli aveva detto di sparargli, viene presentata come la notizia di un episodio di magnanimità e non di persecuzione: nessuno ha dubbi sul fatto che quell’assassino ragazzino non sconterà mai alcun ergastolo come del resto non è quasi mai accaduto con i criminali di guerra e probabilmente anche quell’assassino finirà negli scambi di prigionieri, marchiato dalla pubblicazione della sua confessione e del suo processo pubblico. Le reti americane pubblicano una quantità enorme di documenti giornalistici, interviste, analisi, ma a nessuno salta in mente di porre come questione reale, oltre che morale, da che parte stiano la ragione e il torto. Semmai vengono trasmessi ampi brani dei notiziari e dei talk show russi come ulteriore prova del fatto che il regime di Putin ha scelto di trasformarsi in una dittatura imperiale e ha fatto molto scandalo un lungo documentario sui bambini soldati, avviati all’uso delle armi fin dalle elementari, come i Balilla di Mussolini o i bambini-soldato della Hitlerjunge negli anni Trenta.
Oggi è evidente l’opinione pubblica prevalente, sia a destra con Fox News che a sinistra con la Cnn che è semplicemente doveroso fornire agi aggrediti tutto ciò che è utile per ricacciare gli aggressori oltre i confini da cui sono entrati, prospettiva che poteva sembrare pazzesca all’inizio della guerra ma che oggi si dimostra ragionevolmente possibile perché tutti i Paesi occidentali inviano non soltanto le armi che condividono nella Nato, ma anche quelle sviluppate autonomamente come i micidiali droni suicidi di Erdogan e i nuovi missili antinave
Come se non bastasse, gli occidentali riforniscono gli ucraini – e lo si vede nei lunghi documentari sulle battaglie aeree e la qualità della contraerea ucraina – di armi russe perfezionate in Occidente, fra cui caccia Mig e Sukhoi con cui i piloti ucraini si sentono a loro agio perché i potenti caccia americani F35 richiederebbero un lunghissimo addestramento per il quale non c’è più tempo.
Tutte queste notizie e materiali documentari abbondano nelle televisioni, sommerse dai materiali umani della desolazione e della disperazione dei civili ucraini. Ma alle notizie ucraine si aggiungono quelle del confronto con la Cina che è considerato il “vero” teatro di una possibile guerra perché gli Stati Uniti non sono disposti – insieme a Giappone, Australia, Vietnam, Indonesia e Taiwan – a consentire a Pechino di impossessarsi del cosiddetto Mare Cinese del Sud, che non è affatto cinese ma è acqua internazionale, dove passa l’ottanta per cento del commercio mondiale marittimo.
La chiave di volta della libertà di traffico sta nell’indipendenza di fatto, anche se non di diritto, di Taiwan e gli americani hanno visto il loro presidente (in calo precipitoso nei sondaggi) rispondere con estrema malavoglia alla domanda di un giornalista dicendo a mezza voce quasi bisbigliando che l’America non manderà truppe combattenti in caso di attacco militare cinese, ma che l’America non permetterà che la Cina faccia a Taiwan ciò che la Russia ha tentato di fare all’Ucraina.
