Ho visto con emozione alcuni reportage rarissimi di chi ha seguito la guerra seduto sui carri armati russi parlando con i soldati di Putin e condividendone soprese e amarezze, paure e speranze. Credo di aver capito di più sulle ragioni profonde di questa guerra e il suo significato epocale, chiamatelo pure strategico, che ha a che fare con qualcosa di più profondo che la pretesa rissa fra Nato arrogante, Putin impazzito, Biden ignorante con cui si sono disegnate in fretta e furia le nuove figurine Panini per rendere puerile qualcosa di molto profondo e che spiega almeno in parte la ragione del fallimento in cui l’armata di Putin è incappata.

Il nocciolo è questo ed è semplice: non soltanto gli ucraini di lingua ucraina, ma anche la maggior parte dei russi di lingua russa che vivono in Ucraina, hanno accolto il corpo di spedizione mandato per una semplice Operazione militare speciale, come un’invasione barbarica. Da che cosa si vede questa inaspettata realtà? Dalle urla nelle famiglie divise di lingua russa in cui nonne e madri urlano contro i figli e i nipoti per la loro scelta degli usi e costumi occidentali: “Come potete rinnegare la vecchia patria per un Occidente che non vi appartiene?” A questa domanda la maggior parte degli ucraini russi, di lingua tradizione ninne-nanne russe, hanno risposto di non voler tornare a un passato si cui non sono in grado di provare la più larvale nostalgia; e di aver scelto uno stile di vita fatto di oggetti, costumi, consumi, modi di vivere del tutto occidentali. Non americani, si badi, ma occidentali, Più precisamente europei.

È questo ciò che Putin aveva intuito e temuto e denunciato come se fosse l’avvento di Satana. Ed è questo in fondo l’idea del grande complotto di cui parla come una imminente aggressione militare. Ricordiamo come si espresse soltanto poche settimane fa il presidente russo, quando si riferiva a quei russi che si erano lasciati abbagliare dai modi, le tradizioni, lo stile di vita occidentali? Disse: “Sono come moscerini finiti nelle nostre gole e che saranno risputati per sempre”. Ieri, sulla Piazza Rossa, nel discorso tanto atteso – in parte deludente ma in gran parte tranquillizzante che ha pronunciato – Putin ha detto seriamente che la sua operazione militare doveva sventare un’aggressione armata già pronta contro la Russia. Parlava sul serio e sono sicuro che nessuno di noi pensi che ci fosse qualcosa di vero. Infatti, non c’era pronta alcuna aggressione armata ma qualcosa di molto più totalizzante: la vittoria dello stile di vita occidentale fatto di piccole cose buone quotidiane, fatto di 100 stazioni radio e televisive diverse, di concerti e teatri sempre pieni come lo erano ancora mentre cadevano i missili su Kiev perché quella gente che aveva scelto di essere occidentale aveva fatto non una scelta ideologica ma umana, radicale, quasi inconsapevole.

I soldati russi parlavano dicendo di essere sicuri di vedersi venire incontro le donne con massi di fiori per acclamarli come liberatori. Dicevano di essere sicuri che gli ufficiali e soldati ucraini sarebbero venuti a ingrossare le loro file e che un gruppo di canaglie naziste che opprimevano con la violenza i cittadini di Mariupol sarebbe stato spazzato via dall’ira popolare punto è che Zelensky si sarebbe dovuto suicidare o sarebbe stato linciato dai suoi sudditi liberati. E che gli ucraini avrebbero riconosciuto i fratelli russi come importatori delle antiche radici che univano un solo popolo e una sola lingua. Era ciò che credeva Putin e lo ha detto. Ma che cosa è successo? E’ successo che nessuno a Mosca avesse previsto uno scontro diretto e mortale tra quel che vuole la gente dell’est e quella dell’ovest. E qui è prudente fermarsi perché si rischierebbe il pistolotto su quanto è bella la libertà rispetto al pensare unico.

Tutto ciò è diventato geopolitica, strategia militare, sconfitta. Il corpo di spedizione che doveva compiere una facile operazione militare speciale non era minimamente sufficiente per fronteggiare l’entità imprevista: quella nazione Ucraina nuova di zecca che secondo Putin non è mai esistita e quindi non c’era caso che potesse esistere.

Putin ha avvertito giustamente che la Russia era minacciata alle fondamenta, come lui stesso ha detto. Era minacciata nella sua identità e nella sua cultura tradizionale. Ed aveva ragione. Dove non aveva ragione, ma è chiaro che per lui si trattasse di una metafora, era Il grande sospetto del grande complotto dalla grande armata che avrebbe intrapreso non si sa perché una grande guerra contro la grande Russia. Nota a margine: sulle colonne di questo giornale ho difeso l’immagine del presidente Donald Trump, il quale era pronto a qualsiasi compromesso con la Russia di Putin purché fosse tutelato il diritto americano di vendere, fare profitti e che ognuno se la vedesse con i propri demoni.

Trump detestava noi europei antiamericani che non spendiamo una lira per la nostra difesa, tanto poi se spunta un nemico vengono loro a inquinarci i cimiteri di guerra. Ma le sinistre di corta memoria hanno preferito tifare in coro per i “guerrafreddisti” del Partito democratico e oggi si stupiscono delle loro stesse scelte che sono state di natura estetizzante, più che politica. Ma ciò che colpisce di più in questo quadro è stato il tono non enfatico del discorso di Putin mentre esprimeva con frustrazione la consapevolezza di un fallimento: quello di una visione del suo mondo sconfitto, prima che dalle armi, dalle scelte umane per vita occidentale comune agli europei, agli americani, al moderno Giappone. La sconfitta, o la mancata vittoria, è dipesa dal fatto che gli ucraini – “carne della nostra carne, discendenti dalla stessa culla” – hanno scelto l’Europa e aperto il fuoco contro l’Armata Rossa.

Putin vede dal proliferare delle manifestazioni e dal numero degli arresti, quanto cresca l’inevitabile e inarrestabile infiltrazione delle notizie autentiche sullo stato della guerra goffamente camuffate dalla censura. La Russia si trova quindi a fare i conti con se stessa di fronte al bivio: se sceglier ciò che gli esseri umani scelgono quando hanno la possibilità di farlo, oppure l’autocrazia dell’impero nelle sue tradizioni ataviche con il culto del complesso di inferiorità nei confronti di un Occidente pagano e portatore del peccato del benessere. Questa è la radice del conflitto, altro che aggressione militare della Nato che semmai esiste come somma delle paure collettive di chi non vuole avere il fiato russo sul collo, compresi i giovani nati in terra ucraina dopo il 1991, quando un tratto di penna fece nascere paese indipendente detto Ucraina.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.