“Mala Civitas”, è l’operazione della guardia di finanza che ha portato al deferimento di 116 persone all’autorità giudiziaria, per aver incassato indebitamente il reddito di cittadinanza. Una cittadinanza cattiva appunto, che gli inquirenti italiani d’abitudine utilizzano termini colti, svariando dal latino al greco con qualche fuga all’inglese, per indicare il risultato finale delle loro indagini. La cittadinanza, oggetto del deferimento, in Calabria con qualche espansione piemontese, a Verbania, è di un tipo particolare: figlia della ‘ndrangheta, di più, in alcuni casi appartenente ai nomi più prestigiosi del gotha mafioso. 101 fra capi e gregari, con l’aggiunta di 15 approfittatori semplici. Solo un’indagine ancora, da dimostrare, che mira alla restituzione di 516 mila euro, già percepiti, e interrompe ulteriori 411 mila euro, flusso che avrebbe dovuto essere erogato nei mesi a venire.

Una delle tante, tante, truffe che si registrano in ogni angolo della Nazione. La particolarità è che sia una presunta truffa che puzza di ‘ndrangheta, di un valore relativamente basso se rapportato alla natura dell’organizzazione criminale: non milioni e milioni di euro, ma alcune centinaia di migliaia, da dividere fra più di cento persone. Truffe di sussistenza così se ne vedono, purtroppo, tutti i giorni, con protagonisti che sopravvivono di espedienti. Certo, le strategie mafiose assumono forme varie, vanno per logiche loro, spesso non capite o non comprensibili, che alla fine trovano però sempre un senso nelle spiegazioni degli investigatori, degli esperti. Per il senso e la logica, comuni, è difficile comprendere. 101 boss appartenenti a casati sfondatamente ricchi che giocano con le briciole destinate ai poveri?

Ludibrio morale, abominio di pezzenti. Si toglie di bocca il pane alle famiglie indigenti, e certo la mafia non la frequenta la moralità, il bisogno degli altri è solo un’opportunità. Ma gli allarmi degli ultimi tempi lasciano presagire un assalto agli aiuti comunitari e nazionali per l’emergenza pandemica, che saranno altri numeri con tanti più zeri.
Ritrovare 101 persone, che vengono definiti boss, alle prese con pezzi da dieci e da venti, fa immaginare una verità più complessa, articolata, per certi versi incoraggiante: che pochi, pochi eletti si spartiscono i cento e passa miliardi di euro che fonti multiformi attribuiscono al fatturato delle mafie tradizionali, e che poi tanti, tanti, che stanno dentro le mafie ci stanno da morti di fame.

Che c’è una verità, che forse è utile dirla: che ci sono mafiosi di serie A, ma pure B o C, e poi c’è una mafia stracciona che ha gradi alti solo per spenderli in galera, mentre nella vita normale ha bisogno di pane e latte, e che l’idea di affiliarsi non sia stata proprio felix, come direbbero investigatori colti.  Che forse ai ragazzi calabresi bisognerebbe dirlo che a finire in una mafia stracciona, per fregare le merende ad altri ragazzi, è una cosa da fessi, non da furbi.

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E' uno scrittore italiano, autore di Anime nere libro da cui è stato tratto l'omonimo film.