Parla Fedele Moretti, Ocf
Referendum giustizia, dall’organismo “politico” degli avvocati sostegno alla separazione: “Risibile chi grida alla dittatura: ma dove vivono?”
Incontriamo Fedele Moretti, il nuovo coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense, in carica dal 20 ottobre scorso, per capire come si pone l’avvocatura italiana rispetto alla campagna referendaria.
Avvocato Moretti, partiamo da lei. Ci dica cos’è l’Ocf e perché conta nell’architettura istituzionale dell’avvocatura.
«L’Organismo Congressuale Forense viene eletto in sede di Congresso Nazionale Forense, quindi noi siamo un’emanazione diretta del Congresso. Il Congresso, nella nostra legge professionale, è identificato come il rappresentante politico dell’avvocatura intera italiana. Quindi di fatto agiamo su delega del Congresso. Il nostro compito principale è quello di attuare le delibere congressuali, ma naturalmente, essendo un organismo politico, viviamo anche nel senso delle relazioni con il Parlamento e il Governo».
Quindi non siete solo esecutori di delibere, ma interlocutori politici attivi. Come mantenete questo ruolo nell’arco dei tre anni tra un congresso e l’altro?
«Dobbiamo agire anche non solo sulle delibere, ma sull’attualità, perché tenga presente che noi tra un congresso e l’altro abbiamo normalmente uno spazio di tre anni; se fossimo ancorati soltanto alle delibere del Congresso, poi per tre anni, qualunque cosa succeda, non potremmo dire nulla».
Arriviamo alla riforma costituzionale sulla giustizia, appena approvata in terza lettura e attesa al referendum confermativo. Qual è la posizione dell’Ocf?
«Noi su questo siamo stati già abbastanza chiari negli anni scorsi: la nostra Assemblea si è espressa, confrontandosi naturalmente sul tema, in senso favorevole. Abbiamo cominciato adesso e ci siamo orientati subito per un sostegno pieno a questa riforma».
Dall’altra parte c’è una forte avversione della magistratura associata. L’ANM ha assunto un ruolo di opposizione dura. Come lo giudica?
«L’Associazione Nazionale dei Magistrati ha intrapreso un percorso di fiera opposizione, se possiamo dire così, rispetto alla scelta del governo. Sbagliando. Non voglio entrare troppo nel campo altrui ma sicuramente non condividiamo questo approccio».
Il Comitato del No che nasce in Cassazione, l’ANM che si fa quasi partito: che problema crea, secondo voi, sul piano dell’opinione pubblica?
«Si ingenera nell’opinione pubblica, che poi diventa effettivamente destinataria di tutte le nostre posizioni, un’immagine così quasi identificabile in una parte politica. Qui la scelta non è che la fanno i giudici o gli avvocati, naturalmente sono i cittadini che sono chiamati a rispondere a questo sì referendario. Io penso che non si fa un buon servizio se ai cittadini si dà un’immagine così».
I sondaggi dicono che il 55% degli elettori sarebbe già orientato per il sì. Qual è, per lei, il cuore della riforma da spiegare ai cittadini?
«Credo che il compito di coloro i quali sostengono le ragioni del sì sia quello di spiegare per bene qual è il fulcro di questa legge. Alla fine non è una questione di separare, perché quella già esiste nei fatti, la magistratura requirente da quella giudicante. È quella di rendere effettivamente terzo il giudice: la parte giudicante deve essere identificata agli occhi dei cittadini, ma anche nella sostanza, come un soggetto terzo rispetto alle altre parti processuali del processo penale, che sono il cittadino difeso dall’avvocato e lo Stato rappresentato dalla magistratura requirente. Su questo va appuntata l’attenzione».
I contrari ribattono: le carriere sono già distinte, non serve intervenire. Cosa risponde?
«Le carriere sono distinte, sì. Dirò di più: è risibile il dato di coloro i quali passano da una funzione all’altra in questi ultimi anni. Non è il travaso secondo noi che diventa vulnus, è la questione della cultura dalla quale provengono entrambi: hanno un percorso concorsuale identico, si nutrono della stessa formazione, fanno un percorso di carriera dove ciascuno dei due corpi fa valutazioni sull’altro. Rimane questa commistione. La norma non è altro che il completamento di quella riforma del processo accusatorio che è già in vigore da tanti anni e che, anche nelle intenzioni di personaggi del calibro del professore Vassalli, avrebbe dovuto completarsi con la separazione dei due corpi all’interno della magistratura, con una magistratura requirente che fa il suo percorso, il suo concorso, la sua formazione, il suo CSM, e la magistratura giudicante che ha il suo».
Un altro argomento agitato dal fronte del No: questa sarebbe una “riforma ponte” verso il modello americano, con l’elezione diretta dei procuratori.
«Io non lo trovo scritto da nessuna parte. Non trovo modifiche nella legge che si sta portando a compimento con il referendum. L’articolo 104 della Costituzione rimane per quello che è. L’articolo 69 dell’ordinamento, che è quello che dice che il Pubblico Ministero esercita le funzioni che la legge attribuisce, sempre sotto la vigilanza del Ministro, rimane così com’è. Io veramente lo chiedo a me stesso: da dove prendiamo questo convincimento, questo assioma per il quale il futuro giudice è uno spauracchio? È uno spauracchio che va dimostrato e allo stato dimostrazione non c’è».
C’è chi racconta la riforma come uno scontro destra contro sinistra, o addirittura come una deriva autoritaria. È una lettura che l’Ocf condivide?
«Assolutamente no. Qui non esiste una riforma che possa essere catalogata ideologicamente. Non mi sembra una riforma autoritaria, oggettivamente. Mi pare invece una riforma che va in una direzione completamente opposta: è una riforma di stampo liberale classico, incentrata sulla divisione dei poteri».
Questa riforma ci porta più vicino o più lontano dal «giusto processo» disegnato dall’articolo 111 della Costituzione?
«Stiamo andando verso una riforma che va più verso il giusto processo: l’articolo 111 prevede che il giudice sia terzo e assolutamente impermeabile a pressioni e commistioni. È quella la direzione; se ci fermassimo a questa considerazione, molte delle polemiche cadrebbero».
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