Caro Claudio,
grazie dell’attenzione che hai dedicato alle mie posizioni in materia di referendum sulla giustizia. E grazie per l’amicizia – ricambiata – che traspare dalla tua lettera aperta, peraltro molto netta nel manifestare il tuo dissenso da quanto ho sostenuto nella risposta ad Angelo Panebianco.

Mi fai però due torti: il primo è quello di maltrattare in più punti le mie argomentazioni; il secondo è di immaginarmi cambiato dal Pd”, come se non conoscessi la mia natura, così poco incline al conformismo da spingermi – come in questo caso – a sfidare persino il fuoco amico. Tutto credo che mi si possa rimproverare, ma non di accomodare le mie idee per compiacere il leader di turno. Per chiarezza, quindi: non ho sostenuto che “il vero rischio è che la separazione sia un passo verso un pm sotto il governo”. Ho detto anzi esattamente il contrario (“Molti pensano che la separazione sia un passo destinato a portare la funzione inquirente sotto il controllo del governo. È un timore che non condivido”).

Non ho sostenuto che “dire SÌ significa allinearsi alla polemica contro la magistratura” – come mi rimproveri d’aver fatto – ma una cosa del tutto diversa (“È possibile dire NO senza per questo schiacciarsi sulle posizioni della magistratura”). Non ho sostenuto che il “sistema funziona”. Ho elencato invece le molte e drammatiche storture che lo caratterizzano – eccesso di detenzione preventiva, panpenalismo, rapporto tra polizia giudiziaria e pm, circuito perverso procure-giornali, intercettazioni pubblicate, impossibilità per l’imputato di poter minimamente contrastare tutto ciò – e detto, questo sì, perché lo penso, che la causa di questi guai non risiede nella “non separazione” delle carriere – il poco che ne residua dopo la riforma Cartabia – o in un documentabile difetto di terzietà del giudice. E ho citato, a sostegno di questa posizione, i dati sull’abnorme differenza tra le richieste delle procure e le decisioni dei giudici: 64% di archiviazioni e 60% di assoluzioni per i casi che arrivano a processo.

Mi sono invece soffermato su un punto che reputo importante e che nella tua replica non viene citata. Se concordiamo che le storture sopra elencate si riassumano in un grave sacrificio del principio costituzionale della presunzione di innocenza – troppo spesso stravolto dalla magistratura inquirente nel suo contrario: la presunzione di colpevolezza -, la separazione proposta dalla riforma rischia di peggiorare ulteriormente le cose. Il pericolo che evidenzio è infatti che la postura esclusivamente accusatoria delle procure risulti rafforzata da una formazione dedicata e dalla nascita, di fatto, di una “corporazione dei pm”, del tutto autoreferenziale e sottratta ad ogni controllo. È questa prospettiva che dovrebbe preoccupare, per l’accresciuta discrezionalità che ne deriverebbe nella connessione con l’obbligatorietà dell’azione penale.

Con immutata amicizia,

Giorgio Gori

Ringrazio Giorgio per la risposta alle mie obiezioni. È un piacere dialogare con un amico e sarà un piacere continuare a farlo, in un confronto che durerà e avrebbe bisogno sempre di questi toni civili e composti.

Claudio Velardi

Giorgio Gori

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