Dalle tensioni che agitano i tavoli del centrosinistra emerge un dato. Dalla Campania alla Puglia e alla Calabria, la geografia politica del cosiddetto “campo largo” non è più solo un problema di leadership, ma di distribuzione territoriale. Pd e M5S si sono spartiti l’Italia secondo un vecchio schema: i democratici presidiano il versante appenninico, i pentastellati marcano il Sud. A fare da collante ideologico, o almeno da comparsa militante, restano le sigle ecologiste di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni (Avs), costrette a rincorrere senza imprimere una vera direzione. Non pervenuti i cespugli minori, chiamati a portare voti senza ottenere granché in cambio.

Il rischio è che il centrosinistra riproponga la frattura tra un’Italia interna, legata alle rendite burocratiche e alla politica delle istituzioni, storicamente governata a sinistra, e un Mezzogiorno abbandonato a promesse redistributive, sussidi e clientele. Ernesto Galli della Loggia lo mette nero su bianco: il Pd ha rinunciato a essere un partito nazionale, trasformandosi in un soggetto “regionale”, confinato in alcune zone del Centro-Nord, incapace di parlare al Paese intero. Il Movimento 5 Stelle, dal canto suo, prova a farsi erede di un meridionalismo di maniera, raccogliendo consenso sulle emergenze sociali senza però proporre un disegno strutturale di sviluppo.

La distribuzione delle candidature lo conferma. In Campania, i nomi in corsa riflettono ancora gli equilibri di De Luca e il peso di un Pd che fatica a rinnovarsi. In Puglia, il nodo principale riguarda il candidato presidente. Antonio Decaro, ormai da tempo considerato il candidato naturale del centrosinistra, non ha ancora sciolto le riserve e, negli ultimi giorni, si rincorre l’ipotesi che l’ex sindaco di Bari e attuale eurodeputato del Pd possa decidere di rinunciare alla sua discesa in campo. Le tensioni, in particolare, riguardano l’intenzione – non gradita a Decaro – da parte di Michele Emiliano e Nichi Vendola di candidarsi al Consiglio regionale. Una mossa che rischia di trasformare la partita pugliese in un intricato braccio di ferro interno. Per questo proprio oggi, nel pieno di questo clima incandescente, il segretario regionale del Pd, Domenico De Santis, ha convocato la Segreteria per «un confronto volto a tutelare l’unità del centrosinistra nel percorso verso le elezioni regionali». «A noi sta la responsabilità, all’interno dei nostri organismi, di lavorare per una composizione di un quadro unitario. Lo dobbiamo alla storia di questi vent’anni e a chi li ha resi possibili».

In Calabria, infine, il mosaico è ancora più fragile: qui il centrosinistra si presenta diviso, con il M5S che rivendica spazi, imponendo l’ex presidente Inps Pasquale Tridico, e il Pd che pare rinunciare alla partita vera, affidandosi a un candidato voluto da Conte e piuttosto debole sul piano del rapporto con il territorio. Rimane poi tutto da vedere come Matteo Renzi e Italia Viva si troveranno a sostenere Fico in Campania (lo ricordate, nel tridente Fico-Di Battista-Di Maio, quando aveva Renzi nel mirino?) e con quale convinzione i renziani calabresi sosterranno la campagna elettorale del presidente Inps più lontano da IV. Carlo Calenda, in questo contesto, si sottrae. Luigi Marattin invita a uscire dalla gabbia del bipolarismo forzoso.

Il quadro che emerge è quello di una coalizione che vive più di compromessi tattici che di visione politica. Una “federazione tra rivali”, dove Pd e M5S si spartiscono i territori senza darsi una linea comune, e dove Avs resta confinata al ruolo di tappezzeria rosso-verde. Esiste, dunque, una questione meridionale che enuclea tutte le fragilità del campo largo: il paradosso di una coalizione tra non alleati. Un’alleanza che funziona solo finché resta sulla carta, e che al primo banco di prova rischia di crollare sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.